BERLINALE 73 - "Le Proprietà dei Metalli"
Italia Centrale. In un paese che cambia (come sempre), un bambino che vive in campagna con la famiglia, ma senza la mamma, è in grado di piegare i metalli. Siamo negli anni 70 e
Uri Geller, illusionista israeliano, è sulla cresta dell'onda per la sua capacità di piegare oggetti metallici con la forza della mente. Anche il piccolo Pietro ha questa dote, almeno a quanto si dice in giro. Dalla città arriva un professore universitario per studiarlo e dimostrare l'esistenza di questi fenomeni paranormali.
Antonio Bigini mette in scena una storia semplice, lineare che alle lunghe fa però fatica a diventare un film. In realtà succede poco, come nella vita, ma è proprio questa la differenza tra la vita e il cinema. In "
Le Proprietà dei Metalli" la ricerca di sottrazione è mirata verso ogni aspetto del film, a partire dalla scrittura di dialoghi e personaggi, passando per un casting asciutto, senza ricami, e per la conseguente interpretazione, fino ad arrivare all'ambientazione e allo sviluppo della storia.
Bigini sceglie di non seguire ogni possibile sviluppo in grado di emozionare, andando a riportare i fatti con lo sguardo di chi passa lì per caso e che accanto agli eventi salienti vede inevitabilmente anche ciò che interessa meno, finendo per mettere in secondo piano la crescita di storia e personaggi e perdendo tanto, troppo tempo dietro all'atmosfera e al realismo. Disegna a lungo i caratteri, tra ambiente e situazioni, che però è come se finissero troppo distanti dall'obiettivo per esser messi a fuoco e creare la necessaria empatia.
"
Le Proprietà dei Metalli" è un esordio alla regia che sembra fatto da qualcuno che sa molto ma rinuncia a metterlo in scena per timore di scoprirsi e di entrare in un meccanismo tanto amato ma dove, per lasciare il segno, bisogna scegliere di esporsi.
20/02/2023, 23:30
Stefano Amadio