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Note di regia di "Gli Altri"


Note di regia di
La storia procede con una tensione vertiginosa, da thriller contemporaneo, la città diviene un labirinto, l’intrico dei vicoli metafora della mente dei protagonisti, le stanze sono estremi rifugi di anime cristalline, le strade sono le vene di un destino superiore.
Attraverso un utilizzo non realistico della fotografia, insieme a Fabio Zamarion (Direttore della fotografia), abbiamo creato le atmosfere di una città sospesa, surreale, dai colori lividi. E’un “non luogo” quasi metafisico.
I vicoli, le scale, i corridoi, le strade fangose, la pioggia, lo squallore degli interni, i cortili, i soffitti marcescenti, attivano nello spettatore la necessità di un ricorso all’olfatto, o addirittura al tatto, per integrare e completare l’esperienza proposta dall’immagine. E’ stato condotto uno studio accurato del colore di ogni fotogramma e Zamarion ha utilizzato un particolare filtro che rende l’immagine digitale molto simile a quella ottenuta girando in pellicola.
Le scenografie di Marco Vigna e Fabio Fersini hanno un’impostazione solo apparentemente realistica. Si tratta invece di luoghi quasi metafisici, trasformati nella loro quotidianità, abitati da creature surreali. Per questo ho svolto un lungo lavoro di ricerca delle location in fase di pre-produzione, proprio perché intendevo realizzare atmosfere ben precise. Anche per quanto riguarda i luoghi “inventati”, abbiamo scelto i colori propri dell’incubo, della surrealtà, dell’allucinazione, del sogno. Il lavoro sui costumi, condotto insieme a Daniele Gelsi (Costumista), è partito da una rigorosissima filologia anni ’50, condotta con un lavoro molto accurato sulla scelta dei tessuti. I colori sono spenti, su scala di grigi , in rapporto alla Fotografia di tutto il film.
Il ritmo del racconto è vorticoso, avvincente, la tensione, pagina dopo pagina, affiora impercettibilmente e costringe lo spettatore ad avviarsi per le strade di questo luogo oscuro, instabile deserto metropolitano di ansie, paure profonde, gioie improvvise, presenze enigmatiche, doppi, in cui ad ogni via si sceglie un destino, ad ogni incrocio si cambia vita e futuro possibile. L’equilibrio narrativo dell’intero film è stato scrupolosamente realizzato grazie al sapiente lavoro di Massimo Quaglia, (Montatore) che ha saputo valorizzare ogni singola sequenza attraverso un montaggio ritmico di assoluta raffinatezza.
Una indecifrabile inquietudine percorre le atmosfere dell’intero film. Tutti i personaggi sono stupiti, fragili, appesi a un filo di speranza, confuse vittime di un destino segnato, ritrovano la strada solo grazie a piccoli indizi. L’identità qui non esiste o meglio, esiste esclusivamente l’identità della immensa città che si frantuma, si insinua nei corpi, li guida e gioca con loro a suo piacimento.
L’importanza delle musiche di Paolo Coletta è capitale. Non si tratta di un utilizzo convenzionale delle musiche. Qui la musica non è decorativa o utilizzata come semplice “accompagnamento”.
Si tratta invece di una “para/drammaturgia”, una seconda sceneggiatura che vive una vita autonoma e potenzia ogni singola immagine, spingendo lo spettatore verso un coinvolgimento emotivo totalizzante. Fondamentale è il lavoro sulla recitazione, da me condotto insieme agli interpreti in maniera molto analitica, mirando ad una credibilità degli stati emotivi, senza elementi aulici o non organici. Il lavoro sulla vocalità, sugli sguardi, sui tempi, sulle relazioni, sugli stati emotivi più rimossi, sulla mimica facciale, è stato affrontato con rigore e pertinenza da tutto il cast.
I personaggi del nostro film, perduti sul filo dell’orizzonte, tra la nebbia degli anni ’50, divengono simboli, testimonianze di un mondo perduto e dimenticato, un mondo ingenuo, cristallino, fatto di rapporti umani sinceri, di sguardi e gesti lenti e precisi.
Un’Italia diversa, in cui era forse possibile ancora amare e parlare di cristiana solidarietà e compassione umana.

Daniele Salvo