Note di regia di "Sensei Ni Rei"
Sensei ni rei è la storia di Luigi, un ragazzo di periferia che inizia a fare il karate, che oltre a essere arte marziale è disciplina, lo strumento grazie al quale potrebbe salvarsi dal degrado e dalla povertà culturale che vive. Diviso tra due mondi in contrasto, il karate che è rigore e impegno e lo squallore della strada, non crede che possa esserci posto per Tommaso, il suo amico di sempre che rappresenta anche il suo passato, fatto di scippi, espedienti e azioni di piccola criminalità. Sensei ni rei è anche un racconto personale. Io ho praticato karate per 13 anni e sono vissuto in un paese della provincia di Caserta dove non c’era molto: non un cinema, non un punto di aggregazione culturale. La strada e la noia sono una valida alternativa per molti giovani, come l’uso non consapevole di droghe. Il karate è sicuramente qualcosa che mi ha salvato e fatto crescere. A 18 anni, dopo il diploma, ho lasciato il paese e appeso il kimono al chiodo per partire per l’università. Il karate però ormai è parte di me, e del mio carattere. Dal punto di vista della storia, questo cortometraggio è un dramma. Il karate rappresenta ciò che Luigi avrebbe potuto essere e diventare, la salvezza dalla strada. Finisce male perché vuole essere anche una metafora, purtroppo non tutti si salvano dalla mancanza di opportunità e dal degrado culturale. Ma non volevo che fosse un’altra storia di coatti di periferia e violenza gratuita, questo il motivo per cui nel cortometraggio non trovano mai posto scene di violenza, che vengono suggerite ma mai mostrate. Trova invece spazio il rigore del karate nella lunga sequenza iniziale. La divisione dei due mondi raccontati e messa in scena trova riscontro anche nella composizione delle immagini e della fotografia. Nella palestra di karate le inquadrature sono fisse e su cavalletto, all’altezza del tatami come insegna il cinema di Taiwan su tutti. La fotografia è pulita e calda, c’è una sorta di patina (data da un filtro e dalle ottiche) che la rendono come evanescente. In strada siamo con la macchina a mano, sempre al servizio dei personaggi, così da seguirli e catturare le emozioni celate al di là di ciò che dicono. La fotografia, sempre calda, è sporca come la strada, e carica del giallo delle luci della periferia.
Joshua Ianniello