Note di regia di "Contactless"
È l’osservazione agitata e minuziosa di ciò che mi corre accanto ad avermi portato a Contactless. È stato un flusso, un pensiero, l’idea stessa di solitudine e alienazione, di allontanamento emotivo e di individualità. Il vortice caotico di contraddizioni dei tempi in cui viviamo, le anime angosciate in ogni angolo di qualunque provincia, sempre alla ricerca costante dell’altro ma senza il coraggio di farsi attraversare, di attraversarlo. Mi tormento da anni, rifletto spesso sul significato del rapporto con l’altro e mi chiedo: siamo ancora disposti a non difenderci? A mostrare la parte impresentabile di noi stessi? Ho l’impressione che ogni relazione non nasca con la voglia di condividere ma di competere, e la competizione in sé non è altro che il motore principale dell’ansia sociale, il veleno del nostro tempo. Con un accordo tacito abbiamo deciso di evitarci, credendo che questa possa essere la panacea dei nostri tormenti. Niente di più sbagliato. Rifugiandoci nella mediocrità del nostro intelletto non facciamo
altro che alimentare il terrore condannandoci a una solitudine asfissiante.
L’isolamento cronico a cui tendiamo mi turba profondamente, esattamente come inquieta il protagonista di questa storia. Guido però, a differenza mia, non si è rassegnato e con dignità affronta il baratro. È nelle persone come Guido che io ripongo tutta la mia speranza.