CINEMA ODEON MILANO - Gianni Canova sulla chiusura della storica sala
Due giorni fa a Milano ha chiuso anche la sala più importante, quella simbolicamente più
rappresentativa: l’Odeon di via Santa Redegonda, a 20 metri dal Duomo. Quasi cento anni
di vita (aveva aperto nel 1929). Un’architettura di grande pregio, in bilico fra liberty e art
déco. Un secolo di sogni, visioni, anteprime, tappeti rossi, avventure, passioni.
Generazioni e generazioni di spettatori che hanno trovato lì i propri attrezzi per
fantasticare (e per capire meglio il mondo in cui ci è dato di vivere). “Ex tenebris vita”,
recita (ancora per quanto?) la grande scritta che campeggia nella sala più grande. Ora le luci si sono spente, la vita langue e restano solo le tenebre. Giù il sipario. Gli schermi delle
dieci sale realizzate nel 1986 con la raffinata ristrutturazione firmata da Franco Albini e
Franca Helg han chiuso i battenti.
Anche l’Odeon sarà un centro commerciale. La nuova proprietà, Kryalos, dice che vuol
farne qualcosa di analogo a quello che sono Harrod’s a Londra e le Galeries Lafayette a
Parigi. Legittimo, siamo nel libero mercato. Ma quel che stupisce e addolora è che questa
ennesima chiusura di un cinema avvenga nel silenzio e nell’indifferenza. L’Odeon è per il cinema milanese quello che il Teatro alla Scala è per l’opera lirica e il Piccolo per il teatro: sono monumenti nazionali. Pezzi di storia che vanno tutelati, protetti, preservati. Per la Scala e il Piccolo è stato fatto, per l’Odeon no. Per l’Odeon non si è fatto nulla. Uno Stato che spesso pretende dal singolo cittadino sfibranti pratiche burocratiche e balzelli a non finire anche per il solo cambio di destinazione d’uso – poniamo – di un bilocale di periferia, adotta poi un silente laissez faire di fronte a un cambio di destinazione d’uso che si configura a tutti gli effetti anche come un’operazione di cancel culture – architettonica, cinematografica, simbolica – che fa un poco accapponare la pelle. Possibile che nessuna archistar abbia nulla da ridire? Forse che il cinema è meno ‘nobile’ dell’opera lirica e del teatro? Non è parte anch’esso della nostra storia e dei percorsi di costruzione del nostro immaginario? O anche in questo caso persiste nei confronti del cinema quel pregiudizio elitario e snobistico che ha portato la classe politica a negargli il diritto di essere insegnato nelle nostre scuole? Ma poi: siamo consapevoli che la chiusura di cinema e teatri implica un’ulteriore desertificazione del centro cittadino?
Senza cinema e senza teatri la sera il centro si spopola, come già accaduto a Londra e in
altre metropoli europee, con tutte le conseguenze in termini di degrado e di sgretolamento
del tessuto sociale e relazionale che chiunque può facilmente immaginare. Che la più ricca
e importante città d’Italia resti con un solo cinema in centro (l’Arlecchino, da qualche mese
meritoriamente rilevato, gestito e programmato dalla Cineteca di Milano) è un segno di
declino epocale che instilla un po’ di sconforto sotto la pelle prima di suscitare una
reazione di inevitabile e furente mestizia.02/08/2023, 13:01