Note di regia de "La Sedia"
Esiste un momento nella vita di tutti in cui l’età adulta si fa solida. Succede così che la consapevolezza di sé, come somma di limiti, talenti, vulnerabilità e certezze si manifesti appieno legittimando il nostro ruolo nel mondo. È un momento potenzialmente straordinario che, però, spesso coincide con l’osservazione di una fragilità crescente dei nostri cari. Nel mio caso, mio padre, l’uomo a cui devo la mia dedizione instancabile al lavoro, si è trasformato in pochi anni da un essere che ho sempre immaginato altissimo, forte, brillante, in un uomo piccolo, curvo, afflitto dal dolore e per questo incapace di esprimersi all’altezza del suo pensiero. Il Parkinson lo ha trasformato, intrappolando la sua mente in un corpo che non risponde più del tutto. La sua trasformazione mi ha fatto pensare al tema dell’eredità morale, un tema che attraversa la società sia su un piano individuale, strettamente privato, che su uno che è di interesse collettivo. Il film La Sedia è nato così, come un tentativo urgente di fare ordine alle emozioni private e ai pensieri sul mondo, cercando una risposta ad una domanda complessa: qual è la mia, intima, e la nostra, collettiva, responsabilità dinanzi ad un lascito? Scritto in 15 giorni e girato in meno di 10, il film e la sua prassi produttiva sono la medesima cosa, perchè questa velocità, questa urgenza, hanno reso impossibile separare l’autore dal regista, il regista dal produttore, il produttore dal fotografo e così via. Ma tutto questo risponde al mio bisogno di vedere accadere le cose, anche sopra le mie forze, quando le sento necessarie. Un cinema prodotto così, in fondo, è la risposta da musicista, da fotografo, (tocco > nota / scatto > foto) al bisogno di raccontare qualcosa, è la resa del primato della bellezza all’urgenza del significato, è fare con quello che si ha, con quello che si può, perché te lo chiede la storia, te lo chiede chi sei nel momento in cui la Storia ti attraversa. Questo è il modo in cui mi piace fare il cinema, con pochi e con poco (certo, meglio non così poco) e senza attese, senza ministeri, senza regioni, senza Stato. Governato e sostenuto dall’urgenza e dalla grazia a cui solo l’incoscienza o la maturità sanno farti arrivare. Del resto, sono pur sempre un ragioniere che si è scatenato contro il suo destino.
Gianluca Vassallo