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Note di regia di "Le Fenne"


Note di regia di
Le Fenne” nasce dal mio desiderio di indagare un momento cruciale della crescita di ogni donna, l’arrivo del menarca. Un evento misterioso e talvolta traumatico che segna, culturalmente quanto fisicamente, il passaggio all’età adulta. In particolare, quello che mi interessava raccontare è che non sempre la maturazione del corpo corrisponde a quella della mente, e quindi può succedere che una bambina si trovi impreparata ad accettare e comprendere questa trasformazione inevitabile, che piomba dall’alto senza alcuna spiegazione.
Questa mia esigenza narrativa si è lasciata guidare dall’incontro con Clarissa Girardi, una bambina di 10 anni che ho conosciuto durante una residenza artistica nel piccolissimo paese di Faeto (Puglia, Italia).
Clarissa -nella vita vera- è nel pieno di questa metamorfosi, i suoi lineamenti e il suo modo di fare denunciano una tensione fortissima verso il mondo degli adulti, eppure c’è ancora qualcosa che la tiene legata all’infanzia, per esempio, l’immaginazione.
La storia infatti è nata traendo spunto dai racconti di Clarissa, dalle sue relazioni coi familiari e con le amiche, ma anche dal contesto culturale e linguistico di Faeto, paesino di 150 abitanti arroccato su una collina, ancora estremamente legato alla tradizione.
E’ stata Clarissa a spiegarmi che da un po’ di tempo una sua amica d’infanzia è diventata antipatica e non ha più voglia di giocare, e sempre lei mi ha raccontato di aver visto, all’inizio dell’estate, un rivolo di sangue uscire dal naso della statua della Madonna.
A partire da queste premesse è stato naturale sfruttare il miracolo come metafora dell’avvento delle prime mestruazioni, fenomeno straordinario quanto inspiegabile, che segna un prima e un dopo nella vita di Clarissa.
Allo stesso modo in cui la storia è legata a vicende reali, il linguaggio che ho utilizzato per raccontarla è stato contaminato dal cinema della realtà con cui mi sono formata.
I luoghi, le relazioni tra i personaggi, le loro abitudini e la lingua franco-provenzale (tipica dell’isola linguistica di Faeto) sono reali, ma si ibridano con il linguaggio della finzione e con la rigidità della sceneggiatura.
La scelta stilistica del 4:3 è nata dall'intenzione di trasmettere con le immagini il processo di graduale isolamento della protagonista. Clarissa è rinchiusa nella sua porzione di spazio, incapace di comunicare con gli altri per spiegare quello che sente e quello che solo lei sembra vedere.
In questo modo per me, nei quadrati di spazio ritagliati dalle inquadrature, si riassumono le tre età della donna: l’infanzia rappresentata da Marilù, l’adolescenza rappresentata da Viola, e l’età adulta rappresentata dalla madre e dalla nonna di Clarissa. Tre mondi in contrapposizione, tra cui è impossibile una vera comunicazione, e di fronte a cui Clarissa si sente estranea e disorientata, in una terra di mezzo da cui potrà uscire solo lasciando alle spalle ciò che era e accogliendo ciò che diventerà.

Giulia Di Maggio