Note di regia di "La Doppia Vita di Kore"
L’intuizione, l’onirico, il magico sono materia viva per l’artista. Con essi ha una familiarità che l’accomuna ai più giovani o a luoghi del mondo che legano il quotidiano al sacro. L’artista conosce l’armonia del contrasto. Controlla luce e ombra. Segue i misteri dell’arte e il suo potere trasformativo. Plasma la materia. Ribalta il sopra e il sotto. Disordina, gioca col caos. Infine, nello scarto incontra la meraviglia. L’atto creativo l’avvicina al divino, purché affronti l’ignoto e non tema l’abisso.
L’arte è libertà e incatenamento, avviluppo e separazione. È un continuo scomparire, quasi affondare, e riemergere. Il film segue metaforicamente il mito di Kore, la fanciulla rapita da Ade. Negli inferi Kore è prigioniera e regina. Per placare la disperazione della madre Demetra, che ha reso arida la terra e desolati gli uomini che la abitano, Zeus concede a Kore di tornare. A patto che non abbia mangiato nulla.
I pochi grani di melograno ingoiati dalla fanciulla la divideranno tra due mondi, e determineranno l’alternarsi delle stagioni, il ciclo della morte e della rinascita. Rapite da tracce misteriose le artiste si allontanano dal reale, e quando vi ritornano nelle loro opere emerge un altro mondo. Offerta con un nuovo sguardo, la realtà rifiorisce.
Maria Antonietta Mariani