BIF&ST 15 - Kalavría: Ulisse, simbolo di un’umanità smarrita
Un migrante, un naufrago, un novello Ulisse senza memoria si trova a vagare per le terre calabresi smarrito, in cerca di sé stesso e delle sue origini. Un viaggio interiore che attraverso l’incontro con figure mitologiche, viandanti, persone del posto lo porterà a una nuova consapevolezza di sé, scoprendo le sfumature del suo passato e i riflessi del mito greco nella vita quotidiana. Passato e presente, quindi, convivono in una Calabria inedita e inesplorata dove, secondo gli studi dello storico tedesco Armin Wolf, Ulisse fece la sua ultima tappa prima di tornare a Itaca.
Fra mito e storia, nelle terre che diedero i natali a parte della Magna Grecia, sorta dall’incontro tra i greci e le popolazioni che abitavano il versante ionico dell’odierna Calabra, “
Kalavría”, scritto e diretto da Cristina Mantis, racconta il percorso di rinascita di un uomo, un Ulisse che ha le sembianze di un mendicante, di un migrante, interpretato da un intenso Ivan Franek, che diventa simbolo di un’umanità smarrita, in cerca di conforto. Quello che troverà negli abitanti dei luoghi che lo accoglieranno senza timore, nutrendolo, vestendolo, come fa un’anziana signora che dà da mangiare ai gabbiani, o una coppia di coniugi che gli chiederanno di fermarsi un po’ con loro: “Sento che devo andare”, dice Ulisse preso da un moto interiore che lo spinge ancora a vagare. A questa metafora si unisce il racconto della storia calabrese, fatta di brigantaggio come ribellione alle violenze dei piemontesi dopo l’unità d’Italia, di migrazioni negli Stati Uniti verso il sogno americano. “Io questo peccato non lo voglio, quelli siamo noi, la nostra è sempre stata la terra della tregua, all’improvviso diventa la terra dei funerali? Da bambino mi ricordo che sulle nostre spiagge arrivava di tutto e tutti arrivavano al mare per portarseli in casa, come se fossero tornati i nostri”, dice Gioacchino Criaco, scrittore calabrese, che spiega in poche ma sentite battute le contraddizioni dell’Occidente e la disumanità di chi oggi rifiuta di accogliere quelli che un tempo eravamo noi, migranti in cerca di fortuna.
Un viaggio mistico che parla del presente attraverso il mito rivisitato di Ulisse, che incontra Circe, ma anche il migrante Badare Seck di passaggio nell’accampamento più malfamato d’Italia, quello di San Ferdinando, nei pressi di Rosarno, ma anche Pitagora, il sommo matematico e filosofo, in un racconto fatto di suggestioni, in una terra che conserva luoghi affascinanti e abbandonati dove non c’è speranza per il futuro ma in cui riecheggia la grandezza e la bellezza del passato. Cristina Mantis segue i protagonisti senza intervenire, lasciando a loro la libertà di raccontarsi e di raccontare le loro radici e guidando Ulisse verso la conoscenza di sé e degli altri.
18/03/2024, 19:29
Caterina Sabato