Generali tronfi e pieni di sé e dame goffe e surreali, eccessivamente addobbate. Fantocci. Sono le figure iconiche con cui Enrico Baj esprime il suo antimilitarismo e l’avversione per l’autorità. Lo racconta “
L'arte anarchica di Enrico Baj” - una produzione 3D Produzioni, in collaborazione con Rai Cultura e Associazione Chiamale Storie e Fondazione Pasquinelli, scritto da Didi Gnocchi e Valeria Parisi, che firma anche la regia - in onda mercoledì 20 marzo 2024 alle 21.15 su Rai 5 per “
Art Night”, con Neri Marcorè.
Il carattere della sua intera opera è segnato dal desiderio, attraverso arte e ironia, di deformare, distruggere e reinventare tradizioni e luoghi comuni. Il documentario “entra” nella casa di Vergiate, un’affascinante dimora degli anni ’20 in provincia di Varese, dove Baj viveva con la famiglia e dove la moglie Roberta che custodisce intatta la memoria del marito, fa da guida in una visita inedita alla scoperta dell’uomo e dell’artista. Si respira un’atmosfera autentica impregnata di cultura, di arte, di storia, in un luogo immerso nella natura, dove ogni centimetro quadrato è occupato da dipinti, disegni, collages, libri, sculture dell’artista e dei suoi amici. Si arriva, poi, alla sua casa da dove sono partite le opere della piccola, ma preziosa mostra alla Fondazione Pasquinelli di Milano, curata da Antonello Negri e Roberta Cerini Baj, anche curatrice dell’Archivio Baj. In ogni luogo della casa si ritrovano tracce, indizi, spunti. Milanese, anzi milanesissimo – studi al liceo Berchet e poi all’Accademia di Brera – Baj come tanti artisti della sua generazione ha viaggiato e vissuto a lungo oltralpe, sempre con lo sguardo aperto al mondo. Raccontarlo significa parlare anche di André Breton, di Raymond Queneau, di Marcel Duchamp e delle avanguardie internazionali del XX secolo. In dialogo continuo con Lucio Fontana, Asger Jorn e altri artisti della sua generazione, Enrico Baj ha infatti attraversato molti tra i principali movimenti artistici del Novecento. Quello che lo ha sempre caratterizzato è la libertà nell’utilizzo della materia che «ha sempre più immaginazione di noi» e libertà nelle infinite tecniche utilizzate nel corso del tempo, dal dripping al collage, all’intarsio. Tra gli episodi fondamentali della sua vita, la pubblicazione, nel 1951, del Manifesto tecnico della Pittura nucleare insieme a Sergio Dangelo. Gli artisti ai quali si unisce anche il visionario designer e architetto Joe Colombo, utilizzano nei loro quadri immagini e suggestioni che derivano dallo scoppio delle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki. Nella realtà post-bellica domina la paura della bomba, degli alieni, del comunismo e Baj, attraverso la sua arte ludica e sorniona, ne coglie le contraddizioni. E i suoi quadri più emblematici di quel periodo sono nella casa dell’amico collezionista Luciano Lanfranchi.
Mai ideologico ed allineato durante tutto il suo percorso umano ed artistico, Baj non fa che sperimentare nuove tecniche e nuovi materiali e già nel 1964 la Biennale di Venezia – quella che premia Robert Rauschenberg con il Leone d’Oro – gli dedica una sala personale. Nello stesso anno partecipa alla XIII Triennale, la cosiddetta Triennale del tempo libero. Nel pieno del boom economico, Baj occupa con le sue sperimentazioni un’area dedicata alla tecnica: generali di meccano e specchi frantumati che deformano gli spazi. Nel 1972 Baj è l’autore de “I funerali dell’anarchico Pinelli”, le cui figure sono ispirate alla Guernica di Picasso, uno degli artisti a cui guarda con ammirazione e “imitazione”. Dell’opera - che avrebbe dovuto essere al centro di una grande mostra a Palazzo Reale, sospesa in seguito all’assassinio del Commissario Calabresi - per anni è stata vietata l’esposizione pubblica. Ora giace, smontata, nei depositi della Galleria Marconi, in attesa di essere resa fruibile al pubblico. Di questa vicenda parla il giornalista Enrico Deaglio che a suo tempo ne ha scritto in diversi articoli.