Note di regia di "Prima della Fine. Gli
Ultimi Giorni di Enrico Berlinguer"
È il mio film documentario più importante. Sotto ogni punto di vista. Un punto di arrivo, una resa dei conti, un gesto doveroso, necessario, personale, che recupera il dialogo con una storia che non ho vissuto direttamente eppure che ho, fin da piccolo, sentito sulla pelle attraverso i racconti dei miei nonni, di quella comunità di affetti e di valori, all’interno della quale sono cresciuto e che mi ha formato. Una storia che volevo fare mia, che volevo restituire alla mia generazione e a quelle future, che in qualche modo potesse essere nuovamente vissuta e conosciuta. Ed è il mio lavoro documentario più importante perché mette insieme un percorso durato anni di ricerca, di studio, di costruzione di un linguaggio che potesse essere radicale, che potesse rappresentare la sintesi dei miei precedenti progetti e al contempo restituire in modo delicato e rispettoso la cronaca di sette giorni. Quei sette giorni che sento abbiano in qualche modo tracciato un solco tra un prima e un dopo, tra un tempo chiaro e un tempo confuso. Perché, in questo nebuloso presente, quei giorni, quella storia, quelle emozioni mi sembrano una traccia capace di indicare una possibile direzione, una possibile ricomposizione di un senso, di un’idea di paese, di una memoria che si fa collettiva e non solo privata. Per questo ho ritenuto fin da subito che il film dovesse essere realizzato esclusivamente con materiale di repertorio, nonostante questa scelta comportasse un lavoro di anni che non sapevo dove mi avrebbe portato. Avrei potuto seguire una strada più convenzionale, più “leggibile” agli occhi di broadcaster e player, ma l’intenzione è sempre stata quella di realizzare un passo deciso verso una nuova fase del mio percorso, più in linea con quello che sentivo giusto e necessario per portare sullo schermo la storia che avrei voluto vedere e consegnare al pubblico. Nessun commento, nessuna lettura postuma, solo un’accurata e rinnovata ricostruzione narrativa di quei giorni, dal malore dal comizio di Padova, passando dai giorni in ospedale e alla camera ardente, fino all’imponente rito del funerale che ne celebrò il definitivo addio. In quel rito conclusivo, familiare e collettivo, individuale e di massa, intimo e mediatico, si consuma lo straziante addio al politico “più amato”, e al contempo, con quell’improvviso dolore di una famiglia come di un popolo, si somma la sensazione inconscia di lutti più profondi: della sinistra come di una certa politica, di un’idea di paese come di un’epoca che da quel giorno sembrò finita per sempre. La ricostruzione del funerale di Enrico Berlinguer racconta quindi non solo la morte prematura di un uomo che ha segnato il suo tempo, ma anche e soprattutto il ritratto del popolo che lo ha amato e di un paese che da quel momento non è stato più lo stesso.
Samuele Rossi