Note di regia di "L'Intervista in Mare"
Sono un sociologo, mi occupo, in ambito accademico, di processi culturali e comunicativi. Da sempre ho scelto il cinema (e nello specifico i prodotti del cinema, ossia i film) come ambito privilegiato di osservazione e studio della contemporaneità, sviluppando anche teoricamente l’ipotesi di un parallelismo tra modalità scientifica e modalità artistica. Negli ultimi anni mi sono ritrovato in più modi e occasioni a sperimentare il mio approccio teorico sviluppando parallelamente un percorso di osservazione e via via di partecipazione diretta alla realizzazione di prodotti culturali legati alle mie attività di ricerca (principalmente come direttore di produzione, ma anche in altri ruoli, come il fonico di presa diretta). Dopo aver affidato a professionisti del settore la realizzazione di alcuni lavori da me ideati, a partire sempre da situazioni di ricerca, mi sono ritrovato a dover agire direttamente anche sul fronte della sceneggiatura e della regia. In tutte queste produzioni sono sempre stati coinvolti professionisti, ma è sempre stata mantenuta una mia precisa e rigorosa linea editoriale, il cui
obiettivo è quello di avvicinare un pubblico generico, attraverso appunto l’azione produttiva diretta nella sfera culturale, a tematiche e questioni di pubblico interesse (ma di solito relegate ad una fruizione specialistica o settoriale).
Nel 2019 mi si presenta l’occasione per impostare una ricerca sul lavoro nel settore della pesca, ricerca che si caratterizza fin dall’inizio per l’eccezionale possibilità di osservazione empirica direttamente in mare nei pescherecci. È così che, nonostante non avessi alcun progetto di realizzare un film, l’intuizione è stata di dotarmi di strumentazione adeguata per effettuare delle riprese.
Tale pratica non è inconsueta in questi casi, seppur realizzata solitamente con apparecchiature di veloce utilizzo e non professionali.
Fin dalla prima uscita mi è però stato chiaro che la qualità tecnica del girato e l’eccezionalità assoluta e irripetibile delle situazioni (l’essere imbarcati!), avrebbe meritato lo sviluppo di un prodotto video molto più ambizioso, complesso ed articolato rispetto al semplice supporto video al libro con i risultati della ricerca.
Questa convinzione si è rafforzata a partire dalle successive uscite, ma ancora senza un progetto preciso. Ho invece affinato tutta una serie di intuizioni che avevo avuto fin dall’inizio su come e dove dirigere lo sguardo della camera.
L’arrivo della pandemia mi ha impedito di concludere nel 2020 il giro delle diverse marinerie, ma ha anche permesso al progetto di configurarsi come vero e proprio progetto cinematografico.
Alla fine delle riprese mi sono dovuto confrontare con una serie di problemi dovuti alla natura stessa di quanto raccolto attraverso molte decine di ore di riprese del lavoro, dei contesti e di
interviste: un materiale talmente ampio e talmente interessante da rendere impossibile un montaggio in forma di documentario se non postulando una durata non inferiore alle tre o quattro ore. In particolare, la difficoltà principale - lo scoglio apparentemente insormontabile - è stata l’impossibilità di ridurre, e quindi di utilizzare in maniera canonica, il materiale delle interviste. Troppo ampio il loro numero, troppo lunga la durata e troppo densa la significatività dei contenuti per poterne estrapolare solo dei brevi passaggi. Una volta chiarito che fosse questa la parte del materiale più difficile da lavorare, e soprattutto che il racconto
delle persone incontrate, della loro profondità ed eccezionalità, fosse uno dei capisaldi su cui costruire il film, ho deciso di valorizzare ed enfatizzare questi aspetti non attraverso i materiale delle riprese, ma attraverso un attore che interpretasse tutti i pescatori, nell’essenza comune di molti caratteri, ma anche nella varietà di molti altri aspetti. Dunque, ho scelto la via della narrazione nella forma ibrida tra documentario e fiction. Questa
scelta, apparentemente paradossale (e di fatto, a quanto è risultato anche dalle mie ricerche, mai realizzata in questa forma) è stata attuata in prima istanza a livello istintuale. Ad un successivo esame, tuttavia, si è rivelata coerente con quanto da me teorizzato e praticato come sociologo del cinema, nello studio della realtà sociale realizzato prioritariamente su cinema di fiction e non su cinema documentario.
L’obbiettivo principale che ha guidato la scrittura del film è stato raccontare il mondo della pesca che si trova ad un bivio: da una parte un declino iniziato e che può diventare inesorabile, dall’altra le possibilità di una rigenerazione che non può che passare per una
presa di coscienza collettiva e pubblica del suo valore inestimabile, tanto in termini economico-occupazionali, quanto e soprattutto, in termini di ricchezza e varietà culturale. In definitiva, si tratta di un film sulla morte della pesca. La pesca sta morendo, è evidente, ma il paziente può ancora farcela? Se c’è una possibilità, un tentativo va assolutamente fatto!
Il film si sviluppa attraverso l’alternanza tra quanto dice il personaggio (che agisce in uno spazio neutro e stilizzato) riguardo ai tanti problemi della pesca, e le immagini girate nei pescherecci (che raccontano il lavoro con il solo commento sonoro e musicale).
Il personaggio vive una sua storia, una vicenda personale che emerge via via nel corso della narrazione, una vicenda emblematica e tragicamente comune.
Si tratta di un piccolo film reso possibile anche dall’adesione di tanti professionisti e soprattutto del produttore all’intento di fondo: aiutarci a sperare nell’improbabile, premessa essenziale per l’azione di costruzione della realtà e del futuro.
Ludovico Ferro