Note di regia di "La Nostra Raffaella"
Era il 1970 e avevo cinque anni. Una sera, tornando da casa di mia zia che abitava a Monte Mario, passai con i miei genitori in Via Teulada, a Roma. Rimasi incantata di fronte alla ciclopica antenna della RAI che toccava il cielo: era forse una navicella spaziale atterrata nella notte? Da quali mondi arrivavano i suoi abitanti? La ragazza bellissima, con l’ombelico scoperto, che ogni sabato sera cantava e ballava nel televisore del mio salotto, era una di
loro?
Per raccontare la Carrà, sono ripartita da quell’immagine luminosa scolpita nella mia memoria di bambina. Ho immaginato che Raffaella tornasse, oggi, dal suo pianeta lontano per raccontarci la sua vita, qui, sulla terra: i sogni, le delusioni, le sfide, le vittorie. Sotto al suo caschetto biondo, che sembrava sempre uguale e che invece era sempre diverso,
Raffaella non si è mai fermata, ha sempre continuato a reinventarsi (ballerina, cantante, conduttrice, autrice, coreografa) e a scommettere su nuovi progetti.
Ho ascoltato per mesi la sua voce inconfondibile nelle tantissime interviste che ho raccolto in quella miniera d’oro che sono le Teche della RAI: ho scrutato i suoi primissimi piani e ho visto nei suoi occhi la passione e la determinazione che l’hanno resa una star, vicina eppure irraggiungibile, romantica ma anche donna autonoma e coraggiosa, ragazza di provincia e allo stesso tempo icona pop internazionale. Ho cantato con allegria le sue canzoni che hanno dato anima e corpo ai suoi grandi successi televisivi: da “Canzonissima” a “Milleluci”, da “Pronto Raffaella” a “Carramba”. Alla fine, ho capito che il segreto del successo planetario di Raffaella, è stato quello di essere rimasta sempre fedele a sé stessa e al suo pubblico, mettendo lo spettacolo, come ogni vero artista, al di sopra di ogni cosa. Ha ragione Enzo Paolo Turchi quando dice che “Raffaella non è morta. È in tournée”.
Emanuela Imparato