Quasi a Casa, il debutto di Carolina Pavone alla regia, è un viaggio interiore di una giovane donna che cerca di definire chi è e dove appartiene. Il film, presentato come apertura della sezione Notti Veneziane alla 81. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, sembra volerci accompagnare in un percorso che è tanto un viaggio fisico quanto un'esplorazione emotiva.
Dalle prime scene del film emerge subito una forte sensazione di inquietudine, quella tensione tipica di chi è in bilico tra il passato e il futuro, tra il sogno e la realtà. Caterina, interpretata da una
Maria Chiara Arrighini al suo debutto cinematografico, si muove in un mondo fatto di silenzi e attese, dove ogni nota non suonata e ogni parola non detta pesano più di un grido. Il suo desiderio di diventare musicista si scontra con la paura di non essere abbastanza, di non riuscire a trasformare il sogno in qualcosa di tangibile.
Il tema del confronto con i propri idoli, qui incarnato dalla figura di Mia, la cantante francese interpretata da
Lou Doillon, Mia non è solo un modello di ispirazione per Caterina, ma anche uno specchio che riflette le sue insicurezze più profonde. L'incontro tra queste due donne diventa una danza complessa e ambigua, un intreccio di aspirazioni, invidie e affetti che non trova mai una risoluzione semplice. È come se il film ci dicesse che crescere significa imparare a navigare in queste acque torbide, accettando che i legami umani sono spesso carichi di tensioni irrisolte.
La musica non è solo una colonna sonora ma un linguaggio parallelo, un mezzo attraverso cui i personaggi esprimono ciò che non riescono a dire con le parole. Le composizioni di
Coca Puma risuonano come un’eco dei pensieri non detti di Caterina, una melodia che sembra emergere direttamente dalle sue incertezze e dal suo desiderio di trovare una voce propria. Questo rende la musica non solo un elemento estetico, ma un vero e proprio motore narrativo, che accompagna Caterina in ogni fase della sua ricerca di sé.
Quasi sembra volerci parlare di quell'età in cui tutto è in potenza, ma nulla è ancora in atto. È il momento in cui ogni scelta appare definitiva, ogni errore irreparabile, e il mondo sembra aspettare con il fiato sospeso la nostra decisione. Caterina è bloccata in questo limbo, non del tutto bambina, non ancora adulta, e il film la segue con uno sguardo attento ma mai giudicante, come se ci invitasse a condividere il suo smarrimento senza offrirci facili soluzioni.
Il titolo stesso sembra suggerire che il senso di appartenenza è qualcosa di sfuggente, un miraggio che si avvicina solo per allontanarsi di nuovo. La casa che Caterina cerca potrebbe essere un luogo fisico, un posto dove sentirsi al sicuro, ma è anche, e forse soprattutto, un luogo interiore, un equilibrio che forse non raggiungerà mai del tutto.
Nelle intenzioni di Pavone, il film non vuole essere una storia di successo o di fallimento, ma piuttosto un ritratto sincero. Ci ricorda che crescere significa imparare a convivere con l'incompletezza, accettare che la ricerca di sé stessi non ha mai una fine definitiva, ma è un cammino che si snoda tra incertezze e scoperte, tra incontri che ci cambiano e sogni che ci spingono avanti, sempre in bilico tra la speranza di trovare una casa e la consapevolezza che forse non la troveremo mai del tutto.
29/08/2024, 21:55
Monica Straniero