Siamo circondati dagli animali. Viviamo in mezzo e grazie alle piante. Abitiamo dentro ai minerali. E pure il nostro occhio troppo spesso vede senza guardare, incapace di costruire un empatico rapporto di osservazione verso ciò che pigramente dà per assodato.
A quattro anni da “
Guerra e Pace”, tornano al Lido di Venezia Massimo D'Anolfi e Martina Parenti con “
Bestiari, Erbari, Lapidari”, presentato Fuori Concorso all’81° edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, confermandosi due voci più uniche che rare del nostro cinema del reale.
Nel corso del tempo la coppia nell’arte e nella vita ha attraversato gran parte del ventaglio di linguaggi, sottogeneri e possibilità, che il documentario offre, e questa volta realizzano un’opera ‘bigger than life’, che attraverso l’archivio, l’osservazione e il film-industriale racconta la natura che ci sta intorno e la sua memoria.
Il loro si conferma uno straordinario incrocio tra Cinema di ricerca e Cinema-sogno, capace di mantenere le radici ben ancorate nella realtà, e al contempo di calare l’occhio di chi lo guarda in una dimensione in cui lo spazio-tempo resta come sospeso, grazie anche allo straordinario lavoro di sound design affidato a Massimo Mariani.
In poco più di tre ore, gli autori costruiscono tre film in uno, trovando nell’archeologia della natura e del cinema la chiave per unire il regno animale, vegetale e minerale.
Il rapporto fra uomo e animale è al centro del primo capitolo “Bestiari”, girato fra l’archivio dello Zoo di Zurigo e una clinica veterinaria, che mostra attraverso immagini degli inizi del ‘900 la brutalità dell’umano-colonizzatore e del freddo sperimentatore che si abbatte sulle creature, accostate alla moderna medicina, in cui il video si fa strumento di esplorazione interna e salvaguardia della loro salute.
L’Orto Botanico dell’Università di Padova, il più antico al mondo, è teatro del secondo capitolo “Erbari”; attraverso lo sguardo su chi ci lavora all’interno, diventa una riflessione sulla cura, intesa come quella che gli operatori dedicano a quel luogo sacro, e che noi umani che rappresentiamo solo lo 0,3 % del pianeta dovremmo quotidianamente avere nei confronti della maggior parte restante, e sull’incredibile capacità delle piante di sopravvivere nei secoli a tutto, muovendosi pur restando ferme.
Una cava, un cementificio e l’Archivio Centrale dello Stato, sono invece il luogo in cui i registi girano il capitolo finale, “Lapidari”, una riflessione sulla memoria che parte dalle immagini di fossili, resti di organismi viventi e prima potenziale forma di cinema, per giungere al ricordo dei prigionieri dei campi di concentramento, e alla produzione di lapidi, simbolo dell’imperituro ricordo dei fossili della nostra Storia.
“
Bestiari, Erbari, Lapidari” è un film che si interroga e ci interroga sul potere e sui limiti dello sguardo, su che siamo stati, su ciò che siamo, e su come il cinema avrà sempre la capacità di farci tornare in vita attraverso la sua potenza di evocare fantasmi e fossili provenienti da mondi e sogni infiniti.
03/09/2024, 21:16
Antonio Capellupo