Note di regia di "Che Ore Sono"
Questo film nasce dalle nostre ferite, dalle nostre esperienze personali con i disturbi mentali e la psichiatria. Da qui la necessità, emotiva e politica, di mettere in discussione lo stigma che ancora oggi avvolge il disagio psichico nella nostra società. Persone, non pazienti; storie, non diagnosi. Frequentare per più di un anno una comunità psichiatrica di Palermo ci ha permesso di prestare ascolto e adattarci quanto più possibile al respiro emotivo dei nostri testimoni. Ci siamo immersi in un tempo inesorabilmente fermo, in cui i giorni si somigliano tutti e senza che ce ne si accorga diventano anni.
Il linguaggio è stato messo a servizio di questo spazio-tempo altro, fatto di ritmi istituzionali che scandiscono il vuoto, di recinti e finestre che marcano il confine spesso invalicabile tra un mondo dentro e un mondo fuori. Abbiamo provato a posizionarci su questa soglia, dove l’identità vacilla, si perde potere decisionale sulla propria vita e si rendono necessari tentativi di resistenza. Lo scontro con l’istituzione totale ci ha confermato come la rivoluzione basagliana, a cent’anni dalla nascita dello psichiatra veneziano, sia ben distante dall’essersi realizzata, e di come la questione di classe sia ancora centrale nel discorso sull’accesso alla salute mentale da parte dei cittadini: “chi non ha, non è”.
Da quanto si evince dal Rapporto Salute Mentale 2021 del Ministero della Salute italiano, la durata media dei percorsi riabilitativi in strutture residenziali supera il periodo massimo previsto, con tempi di permanenza che aumentano con l’avanzare dell’età (in Sicilia i pazienti psichiatrici più anziani rimangono in assistenza, mediamente, per più di vent’anni). La comunità in cui abbiamo girato è una delle tante comunità terapeutiche pubbliche presenti in Italia. Strutture residenziali di passaggio che dovrebbero offrire un percorso riabilitativo ai cittadini in vista di un reinserimento nella società, ma in cui l’unica terapia prevista è quella farmacologica. Non di rado chi intraprende questi percorsi non smette mai di essere paziente ed entra in un limbo di assistenzialismo, quando non viene abbandonato dall’istituzione stessa.
Marta Basso e
Tito Puglielli