Note di regia de "Il giudice e il boss"
Cesare Terranova non è stato un giudice qualsiasi. Ma un modello a cui si sono ispirati Gaetano Costa, Rocco Chinnici, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Il primo che ha avuto il coraggio di indagare sulla sanguinaria cosca dei Corleonesi. Il primo ad aver capito che la mafia era un’organizzazione criminale unitaria che agiva di concerto con elementi della politica, della massoneria, dell’amministrazione pubblica e dell’economia.
Anche Lenin Mancuso, non è stato un poliziotto qualsiasi, “l’autista o il guardaspalle del giudice” come spesso viene, erroneamente, definito dalla stampa, ma uno dei migliori poliziotti di Palermo. Amico fraterno di Boris Giuliano, è stato l’esempio a cui si sono ispirati Ninni Cassarà e gli altri poliziotti della squadra mobile (Beppe Montana, Lillo Zucchetto, Natale Mondo e Roberto Antiochia) che dopo di lui verranno uccisi dalla mafia.
Altrettanto importante è la figura del loro antagonista il boss Luciano Liggio, per capire il ruolo dei Corleonesi nell’evoluzione della mafia da fenomeno rurale a quello urbano della speculazione edilizia, del traffico internazionale degli stupefacenti e della finanza, per finire con la stagione delle stragi ad opera di Totò Riina e Binno Provenzano, che di Liggio sono stati i gregari.
Un racconto visto attraverso gli occhi del giudice Terranova, che, come scriveva il suo amico Leonardo Sciascia, erano: “gli occhi e lo sguardo di un bambino. E avrà sicuramente avuto i suoi momenti duri, implacabili, quei momenti che gli valsero la condanna a morte: ma saranno stati a misura, appunto, del suo stupore di fronte al delitto, di fronte al male, anche se quotidianamente vi si trovava di fronte...”
Non si possono ricordare le vittime della mafia solo nelle commemorazioni ufficiali, ma bisogna creare un movimento culturale che le faccia conoscere alle nuove generazioni, come modelli di vita da seguire. Troppi film e serie tv, hanno come protagonisti i boss mafiosi, figure che contribuiscono a creare tra i giovani falsi miti in cui immedesimarsi. Al contrario la maggior parte delle vittime della violenza mafiosa viene ricordata solo nelle commemorazioni ufficiali, alle quali partecipano i parenti e qualche rappresentante delle istituzioni.
Tutte le vittime della mafia meritano lo stesso rispetto. Tutte meritano di essere raccontate perché, come diceva Paolo Borsellino, “non basta l'azione repressiva della magistratura e delle forze dell'ordine per sconfiggere la mafia, ma è necessaria una presa di coscienza civile e una forte azione culturale.”
Pasquale Scimeca