TORINO FILM FESTIVAL 42 - EUROPA CENTRALE di Gianluca Minucci
Aprile 1940: su un treno che attraversa l’Europa centrale si consuma la caccia al comunista Umberto Cassola, braccato da un ufficiale fascista dell’Ovra e al contempo da funzionari del partito comunista sovietico in quanto sospettato di “deviazionismo ideologico”.
È a bordo di questo treno che
Gianluca Minucci inchioda lo spettatore per 87 minuti di pura tensione psicologica nel bellissimo e complesso Europa centrale, il film che segna il suo debutto alla regia di un lungometraggio dopo diversi videoclip e corti. Questo esordio sorprendente coniuga un’attenzione profonda verso la Storia con una solida padronanza del linguaggio cinematografico: è notevole il modo in cui Minucci sfrutta ogni aspetto della settima arte per ricreare e trasmettere il senso di oppressione provato dai suoi protagonisti.
La fotografia contrastata e psicologica di Carlo Rinaldi indaga con luci e ombre le profondità abissali dello spirito dei personaggi, il montaggio di Ian Degrassi ripropone ritmicamente l’angoscia ansiogena di questi uomini e queste donne, mentre le inquadrature – sempre significative e rappresentative di una scelta – comunicano costantemente sottotesti che rendono evidente, pur senza spiegarla, la componente metaforica e allegorica del racconto: si pensi alle inquadrature decentrate, con i personaggi isolati confinati ai bordi anche durante i dialoghi, a significare l’isolamento e l’impossibilità di comunicare, o ad elementi iconografici e sonori che rimandano a un “oltre” evocato e illuminante, come L’isola dei morti dipinta da Arnold Böcklin o gli inni Giovinezza e L’Internazionale.
Il discorso del regista triestino è chiaramente volto ad allargare lo sguardo alla generale condizione umana nei periodi storici dominati dal buio delle dittature, cominciando con il porre sullo stesso piano i due totalitarismi raccontati nel film, svelandone similitudini e affinità che superano le differenze ideologiche.
Ugualmente “sporchi”, ugualmente malati, fascismo e comunismo sono rappresentati come devianze dell’umanità, schiavi e vittime della loro stessa natura volgare e blasfema. Mentre il treno attraversa i confini geografici degli Stati europei, la narrazione corre lungo i confini tra realismo e onirismo, tra realtà e allegoria, con un andamento osmotico che ci proietta ora in un rapporto sadomasochistico che squaderna l’abuso di potere dei gerarchi, ora in situazioni di idolatria musical, ora in giochi di ruolo confessionali miranti alla delazione.
Come spiega la didascalia introduttiva, la posizione dei comunisti italiani in quegli anni era assai delicata e molti di loro dovevano vivere in clandestinità perché ricercati sia dalla polizia politica fascista sia dai comunisti fedeli a Stalin, che stava “purgando” il partito da tutti i non aderenti alla linea politica ufficiale.
La situazione del compagno Cassola è quindi doppiamente angosciante, ma in un mondo in cui nulla è trasparente e nessuno è ciò che sembra, il doppio gioco e il voltafaccia sono all’ordine del giorno e la paranoia ha veramente ragion d’essere.
C’è chi “ha la faccia d’angelo e si atteggia a santa ma è in realtà un demonio” e c’è chi guarda il proprio riflesso nel finestrino del treno riuscendo a vedere solo morte: “brutalità, dominazione, sudore, oscenità” sono “i giochi, i poteri nascosti”, i subdoli alleati del potere nella sua azione repressiva, gli elementi che lo configurano da un lato come strumento di controllo (“credere non basta: bisogna controllare, verificare, accertare”) e dall’altro come carattere compensativo proprio del desiderio di rivalsa appartenente ai gerarchi.
Le ottime prove attoriali di tutti i membri del cast (Paolo Pierobon, Tommaso Ragno, Catherine Bertoni de Laet, Matilde Vigna, Angelica Kazankova) conferiscono spessore e sostanza alle complesse personalità dei personaggi, ingabbiati da una regia estremamente claustrofobica (a cominciare dal formato stesso delle immagini, girate in 4:3) che ricorda, nelle riprese ravvicinate dei personaggi, il cinema di László Nemes (dal Figlio di Saul viene anche Levente Molnár, interprete del funzionario incaricato di scortare Cassola).
Quando il treno arriva alla fine della sua corsa, questa danza di morte in interni si è conclusa. Tuttavia, il sonoro che accompagna i titoli di coda (e che porta a compimento un lavoro sulla colonna sonora magistrale tanto quanto quello sull’aspetto visivo) ipotizza o rivela un destino funesto per l’Europa. “Signori, si scende”, ma forse no.
24/11/2024, 19:30
Alessandro Guatti