Note di regia di "Frase d'Arme"
Frase d’arme è il secondo capitolo di una trilogia che si propone di analizzare l’estetica del cinema amatoriale, declinandone il linguaggio e i formati in opere di finzione.
La rappresentazione famigliare è da sempre una vocazione primaria del cineasta amatoriale. Gli home movie scaturiscono dalla necessità di dare corpo a un’epica del quotidiano, di collocare il nucleo in un racconto a fruizione privata, che permetta di riconoscersi come parte di una storia, di un processo evolutivo, come se le immagini dicessero: “Guarda come eravamo felici, e lo siamo ancora!”. Ma cosa succede quando le scelte di vita hanno determinato un futuro diverso, neppure ipotizzabile nel momento della ripresa? Che effetto fa ritrovare un filmato che si credeva perduto e rivedersi in una realtà ormai slegata e distante da quella presente? Quali sentimenti si proveranno di fronte all’ipocrisia di alcuni sorrisi? Frase d’arme lavora su questi interrogativi, filtrati attraverso lo sguardo di una ragazza adolescente.
Il film è caratterizzato dall’alternarsi di due istanze narranti: una soggettiva interna e una oggettiva esterna. Una videocamera a cassette MiniDV passa di mano in mano tra i personaggi, attraversando diverse dimensioni temporali le cui tracce si sovrappongono e coesistono sullo stesso nastro. Le sequenze catturate rivelano un avvicinamento insistito alle persone e alle cose, rendendo la ripresa mediatrice diretta delle pulsioni di chi impugna la camera. A rompere l’unità di tale flusso, altre immagini: riprese in alta definizione e dal punto macchina fisso, campi lunghi
composti nel rispetto della rigida geometria dei luoghi, in cui la figura umana perde la sua centralità assoluta. Tra immersioni, riemersioni e scarti formali anacronistici, Frase d’arme mette in mostra la sua struttura e non si avvale della tecnologia di ripresa obsoleta in un semplice tentativo mimetico rispetto a un dato periodo storico, ma fonda sulla grammatica del dispositivo le basi della scrittura filmica.
La narrazione si sviluppa come flusso mentale della protagonista Vivaldi, senza svelarne il volto nel momento presente del racconto. La si vede, ancora bambina, nei frammenti non sovrascritti del nastro e, ormai adolescente, ripresa dalla madre durante le gare di scherma, sempre celata dalla maschera. Nel momento in cui lei stessa è dietro la camera, il film diventa una sua soggettiva, il nostro sguardo guidato dal suo, ma impossibilitato a riflettersi. Frase d’arme si gioca su questa tensione: vedere con gli occhi di un volto che non conosciamo.
Federico Di Corato26/01/2025, 16:17