Sinossi *: «La virtù non ha padrone, e ognuno ne avrà in misura maggiore o minore a seconda che la onori o la disprezzi. La responsabilità è di chi ha fatto la scelta; la divinità è incolpevole». Cosa ci vuole dire realmente Platone con il mito Er? Che l’uomo è libero, certo. Ma è responsabile delle scelte che farà, delle azioni che compirà, degli errori che seminerà lungo la sua strada. Lo sanno bene Ermanna Montanari e Marco Martinelli. Come scrive Martinelli nelle pagine di Farsi luogo - Varco al teatro in 101 movimenti: «Sapevamo, da asini, che l’errare sarebbe stata la nostra scuola, l’errare nel suo duplice senso, camminare e sbagliare... non è forse questo il miraggio per cui patire, quello di arrivare, passo dopo passo, nell’errare, errore dopo errore, alla retta opinione?».
Er è un viaggio, un viaggio in divenire, che tesse la storia delle Albe (da Siamo asini o pedanti? a Ippolito, da Sterminio a Ubu buur, da L’avaro a Pantani, fino a Lus), una storia che trova il senso della propria ricerca nello spazio franco e rivelatore del teatro. Er è un film, un film fatto a misura di primo piano, che dà modo a Martinelli di spingersi dove la scena non gli permette di arrivare al «rischio più grande», al «pericolo antico: io e te. I miei occhi nei tuoi». Molto s’è scritto sull’arte di Ermanna, attrice senza schemi, concentrandosi spesso sul ruolo che nel suo percorso rivestono il suono e la voce; attraverso il cinema Martinelli può finalmente far emergere il volto della sua compagna di sempre, d’arte e di vita, un volto che, riprendendo una definizione di Béla Bálazs, «diventa il tutto in cui è contenuto il dramma».
Ma Er (un titolo che non può non apparire come un diminutivo) è prima di tutto e soprattutto (a dircelo è il cartello posto in calce) un lavoro «dedicato all’arte-in-vita di Ermanna»: parole legate come se fossero una sola. Perché, per il Teatro delle Albe, la vita e l’arte non sono separabili, mai.