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PESARO 60 - FARSI SEME di Anna MarzianoSinossi *: La primissima concezione di “
Farsi Seme” risale al 2016, quando mi posi la domanda di quanto l’immagine dei fiori nel giardino di mia madre potesse reggere di fronte alla prova della sofferenza delle persone care. Mi stordiva la dissonanza tra l’esperienza di un’intelligente e amorevole delicatezza materna... e l’eccedere della violenza che incombeva da ogni parte (nelle relazioni interpersonali, nell’esperienza della malattia, nei conflitti nel mondo).
Gli anni trascorsi hanno contribuito a stratificare attorno a quel momento altre concrezioni e forme di amicizia, amore e solidarietà. Gli sforzi della ripresa si mescolavano alla consapevolezza di essere un filo di grano, come scriveva Guillevic.
La dimensione distruttiva e generativa si congiungevano indissolubilmente nel processo di preparazione del film, improntato a una radicale interdipendenza e commistione tra gli esseri viventi. Si trattava di sperimentare - nella vita e nelle immagini - nuove forme di alleanza. Delle forme brute di bontà. Si trattava di non dimenticare la sensazione, percepita nei miei momenti migliori, di partecipare alla risonanza del vivente.
La donazione di sangue incarna sensibilmente quest’interdipendenza. Nell’introduzione del film si scontrano tenerezza e violenza, e a questa introduzione il film risponde trovando un movimento continuo e relazionale, dove panoramiche orizzontali e verticali si susseguono creando un flusso visivo e le braccia degli esseri umani sembrano proseguire i rami delle piante e viceversa.
Durante le riprese e il montaggio di questo film, mi premeva dare ascolto alla sensazione di risonanza con il vivente: una sensazione che rappresenta il miglior antidoto al forte senso dell’assurdo che scatena l’urto del reale. Era forse questa la sensazione che provava J.L. Godard quando si riferiva alle tracce degli dei in fuga e quando girava la scena del paradiso terrestre di “Notre musique”. Inizialmente ho fatto dei tentativi con la forma della sovrapposizione delle immagini. Ne resta qualche traccia nel film e intendo proseguire lo studio di questa figura intesa come una forma di interdipendenza, nel mio prossimo film. In “Farsi semi” è stata però la figura della panoramica a chiamare, spingendomi a costruire una contiguità tra le braccia degli esseri umani e i rami degli alberi. La panoramica è un movimento fuori moda. Né contemplativo come la camera statica, né estatico come la sovrimpressione. Mi sembrava esatto perché esprimeva allo stesso tempo il movimento e la frugalità.
J. L. Godard parlava del sacro come qualcosa di immobile (“Notre musique”). Descrive l’icona: “pas de mouvement, pas de profondeur, aucune illusion”. Eppure, nella sequenza conclusiva del film “Notre musique”, secondo Godard il paradiso terrestre è la carrellata. Per me quest’immanenza-trascendente, questa trascendenza orizzontale e relazionale… si incarna in “Farsi semi” nella figura della panoramica e nella risonanza tra molteplici panoramiche, molteplici punti di irradiazione.
Ho così iniziato a filmare. Sono andata con la mia Bolex 16mm in due centri di donazione in Veneto, per alcune domenica mattina. Durante quelle settimane, con l’aiuto di mia madre, ho raccolto alcuni semi delle piante del suo giardino e alcuni semi trovati nei dintorni della mia abitazione (al parco giochi, lungo gli argini). Si tratta di piante estremamente comuni: semi di betulla, semi dell’aglio, semi dell’albero della pioggia (saman), semi dell’exhocorda racemosa (cespuglio delle perle), semi di muscari, semi di melograno, semi di violaciocche e altri ancora. La potenza del seme rappresentava il congiungimento di solidarietà e singolarità: non era solo un non-essere-più-fiore. C’era tutta una molteplicità di forme, un rigoglio, una delicatezza intricata delle loro forme. C’era una trascendenza che si incarnava in ogni loro filo, in ogni loro forma.
Affianco a questo movimento continuo del sacro correva però anche la violenza della vita, che non andava taciuta, non andava edulcolorata. Nel film, le immagini vengono a più riprese aggredite dal colore rosso, l’urto della materia, l’urto del reale…
Ho pensato di traslare il sangue venoso e quello mestruale in due differenti pigmenti naturali: l’ematite e la rubia tinctorum.
Dopo aver sperimentato assiduamente con l’audio e il fuori sync nei lavori passati - e prima di riprendere a farlo nei lavori futuri - sono addivenuta a realizzare un film muto. Una sfida e un incoraggiamento a fidarci ancora di alcune immagini, a non perdere la possibilità di avvicinarci alla vita attraverso alcune visioni... Il cinema della risonanza non è un cinema necessariamente non-visivo, purchè si lavori con sobrietà, necessità, ricercando il carattere non-spettacolare delle immagini. Il cinema della risonanza è non-tautologico, non-monolitico. È un cinema dove la vista può contribuire ad attivare la nostra sensibilità tutta. “Farsi semi” è muto. Muto come le piante che ci circondano... Muto come i semi che ho iniziato a raccogliere nei luoghi in cui mi capitava di passeggiare.