Sinossi *: Sono quattro le testimonianze degli ebrei polacchi, ormai anziani, intervistati in Israele nel 2008 e 2010. Le loro vicende sono divise a tappe geografiche, congiunte dalla voce fuori campo di un quattordicenne. Appena prima dell’inizio della Seconda guerra mondiale erano scappati dalla Polonia invasa dai tedeschi verso la Polonia occupata dai sovietici. Da qui, erano stati deportati nei campi di lavoro in Siberia. In un secondo tempo erano riusciti ad arrivare in Uzbekistan dove vissero negli orfanotrofi fino a quando furono portati sulle coste del Mar Caspio e da lì a Teheran, che il 25 agosto 1941 era stata invasa dalle truppe britanniche e sovietiche. A Teheran, gli inglesi trasferirono 33mila soldati polacchi e 11mila rifugiati di cui 2mila ebrei, la metà minorenni destinati a un campo rifugiati allestito nell’agosto 1942 e finanziato dal governo polacco in esilio; cibo e medicine erano fornite dalla comunità ebraica iraniana, dalla Croce Rossa americana, da organizzazioni ebraiche e sioniste. A Teheran, i rifugiati polacchi trascorsero il periodo più lungo (da qui il nome Bambini di Teheran) prima di raggiungere quella che ancora era chiamata Palestina, dove furono smistati in base alle abitudini della famiglia di provenienza: i figli di rabbini furono destinati allo studio della Torah, gli altri ai kibbutz. Ma qualcuno riuscì a imbrogliare…