Sinossi *: Il sogno dell’India – Quarant’anni dopo parte dal passato, 1968-69, citando le parole che Pasolini scrisse allora, nel ’69, prefazione alle sue poesie; ma, soprattutto, inizia col mio cinema di allora, l’underground. Tuttavia, la molla vera è l’urgenza e l’esplorazione del presente. È un film in bilico tra Torino e l’India, la rural India, alla ricerca di quello che c’era e che c’è ora, oscillando tra qui e là. Nel ’68-’69 erano nel silenzio (il mio cinema era “muto”) i volti di famigliari e amici. Ora è l’apertura con voci e suoni verso l’India e le sue strade. Così avviene l’incontro con la gente più semplice nella vita quotidiana. Anche qui spiccano i volti, però le voci raccontano del presente e dei suoi problemi. Il Sogno dell’India è la spinta ancora oggi verso gli altri e l’altrove, è ancora la molla segreta per il movimento.
Nell’estate del 1969, io (con la mia inseparabile 8mm), Mariella mia moglie e il nostro amico Massimo Bacigalupo, filmaker anche lui, ci siamo messi sulla strada per l’India, quella degli hippies, i “figli dei fiori”. Siamo partiti coi pullman di linea da Istanbul, ma siamo arrivati solo all’Afganisthan. In India io sono dunque arrivato solo “quarant’anni dopo”, quando sono stato invitato col mio film MEDEE MIRACLE dall’International Film Festival di Mumbai, e cioè quarant’anni dopo. Tuttavia, devo anche dire che la seconda parte del titolo del film, “QUARANT’ANNI DOPO”, viene, un po’ paradossalmente, anche da A. Dumas padre. Il suo romanzo, Vent’anni dopo, è il seguito de I Tre Moschettieri (nel caso nostro, noi 3 viaggiatori, io, Mariella e Massimo). Un film di viaggio, ma sopratutto di partecipazione alla vita che io oso dire “attiva”. Viaggio non solo nella geografia, ma anche nel tempo e nel vissuto.