Sinossi *: Il nevrotico desiderio di appagamento tramite il cibo ha raggiunto una nuova dimensione grazie alle applicazioni di delivery. Scorrere una galleria virtuale con le infinte proposte culinarie è come fare un giro per le vetrine, è una promessa di felicità che la merce poi difficilmente soddisfa. Tutto però avviene nel proprio telefono, in pochi secondi, senza percezione dell’intero processo e degli attori coinvolti.
J’ai faim ci fa percorrere invece il percorso dall’inizio alla fine, senza mostrarcelo in immagine – vediamo solo l’interfaccia di uno smartphone, negandoci la visione come di fatto accade nella realtà – ma affidandosi al suono per tracciare tutti i passaggi. Dall’ordine veniamo catapultati in una cucina asiatica, per poi osservare il tragitto del rider, anch’egli possiede un voto e delle recensioni come se si trattasse di un paio di scarpe. Due minuti per le strade di Parigi e il cibo è arrivato, pronto per la consegna.
Il film mostra la schizofrenia dei processi in cui le piattaforme digitali ci hanno immerso, la totale soppressione dei rapporti umani per le commissioni più comuni, l’equiparazione tra un lavoratore e un oggetto – perché, come viene ricordato, l’unica libertà che offrono i servizi di consegna è quella di sfruttare. Le pietanze rimangono lì, appena assaggiate, ciò che conta è il loro carattere invitante, il girare a vuoto di una profittevole macchina del desiderio.