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- CORTINAMETRAGGIO - I Corti in Concorso del 24 marzo


Sinossi *:
Erano in cinque, appartenenti alla 82° Divisione aviotrasportata; si erano lanciati col paracadute ma avevano mancato l’obiettivo. L’ordine era di raggrupparsi a Enna. Marciavano ormai da diversi giorni. Uno di loro era ferito ed era incapace di camminare. Altri due trasportavano la barella: erano il soldato italo-americano John Mancuso e il medico della compagnia, Marvin Cauldwell. Il capitano Matthew Allen guidava il piccolo plotone. Assieme a loro marciava anche il fotoreporter Robert Capa.
Sulla strada, i soldati videro un pastore circondato dal suo gregge di capre. Gli si avvicinarono: le condizioni del soldato ferito erano gravi e richiedevano cure immediate. Non fu facile comunicare con il pastore, ma Capa e Mancuso ci riuscirono grazie alla conoscenza di poche parole spagnole e italiane. Il gruppo, quindi, si rifugiò nella fattoria del pastore. Qui i “mericani” conobbero la sua famiglia: il più piccolo si chiamava Salvatore, e aveva solo dodici anni.
Per quella notte furono sistemati nella stalla, assieme alle vacche e all’asino. Il capitano era irremovibile: nessuno poteva lasciare la masseria. Appena il ferito si fosse rimesso in sesto, sarebbero ripartiti. Mancuso, però, aveva un piano segreto: visitare la casa di suo padre, che stava da quelle parti. Da tanto tempo voleva conoscere le sue origini. Si confidò col ragazzino; gli mostrò una foto dei genitori e lo mandò in paese, a chiedere se qualcuno si ricordava di loro.
Tanti, in paese, videro quella fotografia. Anche chi non avrebbe dovuto.
Il ragazzino tornò alla fattoria prima del previsto, i formaggi ancora nel cestino. Da lontano, due figure seguivano i suoi movimenti.
Tore confessò al nonno quello che aveva sentito dire in paese: l’uomo nella foto era un infame, un traditore coinvolto in una faida, che era scappato in America per non essere ucciso. Il ragazzino disse al nonno che dovevano fare la cosa giusta: consegnare il soldato Mancuso a chi lo cercava per regolare i vecchi conti. Il nonno per poco non gli diede uno schiaffo: queste non erano cose che lo riguardavano.
Quel giorno stesso, arrivò la notizia: le condizioni del ferito miglioravano. Probabilmente l’indomani sarebbero potuti ripartire. Mancuso capì di non avere tempo: chiese al capitano il permesso di sfruttare quell’ultima giornata per andare in paese. Allen fu categorico: nessuno avrebbe ritardato la marcia. Mancuso fu costretto a obbedire.
Quella notte, il piccolo Salvatore cercò Mancuso: mostrandogli la foto, gli fece capire che aveva trovato la casa e che ce l’avrebbe portato l’indomani, di nascosto da tutti.
Partirono prima dell’alba.
Camminarono in silenzio. Mancuso provò a parlare col bambino, sfruttando il poco italiano che sapeva, ma l’altro restava muto, era teso, si guardava intorno di continuo. Neanche quando il sergente gli mise il suo elmetto in testa gli scappò un sorriso. Neanche quando, con fare complice, gli offrì una sigaretta. Neanche quando gli promise che l’avrebbe portato con lui in America.
Erano ormai arrivati in paese, non c’era un’anima, solo il vento fra le macerie.
Si inerpicarono per viuzze coperte di detriti, Salvatore camminava avanti a fare strada e Mancuso lo seguiva. Finalmente trovarono la casa. Tore si fermò, le gambe gli tremavano. Guardò il soldato di fianco a lui, poi la casa, poi di nuovo il soldato. Indicò la destinazione, con la solennità del boia. Il soldato gli chiese se sarebbe andato con lui, ma Tore disse che doveva andare da solo. Senza fare altre domande, il soldato si incamminò, lanciando un ultimo sguardo riconoscente al ragazzo.
Tore abbassò lo sguardo e si incamminò verso casa. Aveva fatto solo pochi passi quando sentì gli spari provenire dalla fine della strada: seppe che quella terribile forma di giustizia era stata compiuta. Continuò a camminare, senza mai voltarsi indietro.

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