Sinossi *: Mamma Schiavona è un’icona antichissima, ascrivibile al passato pagano della Campania, poi eletta protettrice della comunità omosessuale e transgender che ogni anno si reca in pellegrinaggio al suo santuario. Lì, nella cappella che conserva la sua immagine, viene omaggiata con canti tradizionali e tammurriate in occasione della Candelora (festività pagana assimilata poi dal cristianesimo, celebrata nel mese di febbraio per accogliere e prepararsi all’arrivo della primavera). Il più autentico e ancestrale custode di questo culto è il femminiello, definibile per negazione non omosessuale, non transessuale, né maschio né femmina.
Come Ciretta, il femminiello che “da tremila anni ormai” compie il pellegrinaggio della Candelora partendo da Napoli, per pregare con danze, canti, e riti officiati da Marcello Colasurdo, artista, “sciamano”, mediatore tra l’uomo e il divino.
Il culto della Madonna nera, chiamata confidenzialmente “Mamma Schiavona” dalla popolazione irpina e partenopea, affonda le sue radici nel XIII secolo.
Si narra, poi, che il monastero sia stato costruito sulle rovine del tempio di Cibele, i cui sacerdoti venivano tradizionalmente evirati. Nel 1600, ancora, un incendio aveva distrutto la foresteria nei pressi del monastero: furono trovati alcuni corpi di uomini vestiti da donne e di donne vestite da uomini. Sono tantissime le leggende che ruotano attorno al monastero di Montevergine e che hanno portato la comunità omosessuale, e in particolare i femminielli, a vivere con profonda devozione il culto della Madonna di Montevergine. “Masculill e femmenell simm tutt’ figl’ bell” canta Marcello Colasurdo davanti all’immagine di Mamma Schiavona: le preghiere dei devoti, tradizionali e antichissime, chiedono il riconoscimento di un’identità non definibile entro certi canoni, ma soprattutto l’accettazione di un sentimento religioso che, ancora oggi, non è riconosciuto dalla Chiesa ufficiale.