Sinossi *:
MEDEA. Il mito si fa carne. Una carne dolente, che lacrima sangue nella discesa agli inferi attraverso i meandri più limacciosi dell’animo umano.
La carne si fa immagine: in un eterno ri-vivere la propria storia come in un loop in cui la pellicola continua a girare su se stessa, usurandosi, sfilacciandosi, fino a diventare lattiginosa, trasparente e fragile come l’alabastro. L’immagine si fa incubo: in un non-tempo e in un non-finito, tra le macerie di una vita dove non c’è salvezza o redenzione. L’incubo è dentro se stessa e si materializza in continui giochi di specchi che la attanagliano, la soffocano, le bucano le viscere. L’incubo si fa labirinto: in un eterno monologo-confessione che proietta sulle pareti umide e scrostate della mente della protagonista l’incubo che è stata condannata a sognare all’infinito. Amore. Odio. Furore. Follia. Maledizione. Vendetta. Delitto. Sono le stazioni di una via crucis interiore verso il compimento del disegno che il Fato ha già scritto per lei: verso quella stanza maledetta, attraverso gli inquietanti corridoi della casa che le crolla addosso e la seppellisce insieme a essa. Il mito si fa attualità. Medea guarda lo spettatore negli occhi, sfidandolo, chiedendogli di prendere posizione. Un mito in apparenza così lontano, che riviviamo ogni giorno, nelle nostre città, nei nostri quartieri, nelle nostre case.


Fotografia:
Mirco Sassoli

Suono:
Alessandro Nardoni (mix audio)
Daniele Antelmi (mix musiche)

Aiuto regista:
Federico Russotto

Foto di scena:
Antonio Occhiuto

Acconciature:
Rosy Lotito

FOTO




Note:
Libero adattamento da Lucio Anneo Seneca.

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