Sinossi *:
“Comunque io la voglio salutare, c’ho fretta di andarmene, mi dispiace di lasciarla”, così Vincenzo saluta Simona dopo un incontro casuale e uno scambio intenso di parole e ricordi a Pettorano sul Gizio, un piccolo paese arroccato su una collina. Michele Mariano e Simona Bramati, i protagonisti della Processione di Carletto insieme alle loro asine, sono appena entrati in Abruzzo.
Michele e Simona sono due artisti affermati, scultore lui, pittrice lei, hanno esposto le loro opere alla Biennale d’Arte a Venezia in anni recentissimi. Eppure nel loro ruolo di artista non agognano semplicemente gallerie e musei ma scovano il senso primordiale di una destinazione più concreta di un’esposizione fine a se stessa, piuttosto un’azione, un gesto da prendere da esempio, un’anticipazione sui
tempi o meglio un loro recupero. Michele e Simona attraversano a piedi l’Italia precorrendo in due mesi 1370 chilometri, dal Molise al Friuli, seguendo anche loro le tracce di storiche gesta e di personaggi eroici che hanno scelto una strada nuova e determinato un infimo inizio. Su tutte le figure prese ad ispirazione spiccano quelle di Celestino V, il papa del grande rifiuto, e di Giuseppe Garibaldi, valoroso condottiero e patriota italiano, l’eroe dei due mondi.
Lungo la strada, i viaggiatori osservano l’Italia senza fretta e lo stato attuale della morfologia di luoghi più o meno nascosti, come le campagne del Molise, L’Aquila, valichi appenninici, pianure rigogliose di un verde mozzafiato e il loro contrasto assordante con città come Bologna o una Venezia inasprita dai divieti, che mette alle porte anche la natura stessa.
Il viaggio silenzioso e sorprendente rivela un’Italia splendida nell’impatto visivo, una mostra-mondo in cui, osserva Michele Mariano, chiunque nella più creativa inconsapevolezza produce opere d’arte, eppure è un’Italia triste, come tristi sono le nostalgie di chi custodisce ricordi di una terra perduta, di una famiglia disgregata, di un dialetto sbiadito.
Una popolazione segregata in un sistema svuotato, arresa alla ruggine, disarmata dietro vanificati intenti, viene attraversata e osservata con uno sguardo sul totale che sembra rivolto a un arcipelago di quartieri dopo una mareggiata. L’unica frenesia che vibra in molti di coloro che si incontrano ancora oggi per strada è nel loro rapporto con la terra, nel rispetto delle regole naturali, della cura delle
coltivazioni, e nel loro attaccamento solenne ai ricordi, intensi e accesi come un orizzonte estivo. Li muovono tutti quella frenesia simile alla dedizione affettuosa di una madre che riserva i propri sogni per l’esistenza riflessa in un figlio, l’ultimo aggancio, l’ultimo spiraglio, l’ultima possibilità.
Nell’attuale fase di stallo e immobilità di un paese che si chiude nell’inattività, che moltiplica le vittime, questo documentario porge uno spaccato della realtà immobile e un gesto di rottura a essa dedicato, tanto semplice quanto potente, tanto naturale quanto sorprendente.
È vero che l’attenzione estemporanea, e talvolta indotta dal seguito mediatico, verso l’atto artistico è per lo più provocata dalla visione degli asini in cammino lungo strade statali, che suscita sprazzi di gioia spensierata; ma è vero anche che l’Italia rianimata da questo viaggio si ridisegna in un autoritratto malinconico con uno sguardo ancora vivo e passionale, luccicante di desideri, oltre la prima lettura
che rivela quanto mai come ora sia esso domato, sotto le macerie di un grande nulla.
E allora che il futuro della civiltà italiana possa trarre ispirazione da un saluto antico, nostalgico e raffinato per affrontare una separazione, prendere la giusta distanza dal vuoto e dal presente per afferrare un qualsiasi cambiamento, magari adottando vecchie maniere, con un atto di forza umano, artistico o semplicemente rivoluzionario.
“Mi dispiace di lasciarla” parla di un movimento a togliere, di un distacco, di un abbandono che proprio nell’istante in cui scocca, lo stesso distacco - o crisi - crea spazio e impulso per un nuovo inizio, un avvio puro, una strada migliore. “Mi dispiace di lasciarla” è un sentimento atavico rivolto all’arte, a quella che provoca ispirazione, inconsapevole o motivata, ed è dedicato all’Italia, a quella che non vorremmo dimenticare, a quella ancora possibile.

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