Note di regia del film Piccola Pesca
Girando il film mi rendevo conto di quanto fosse importante riuscire a raccontare non solo le vicende odierne dei pescatori ma anche che la militarizzazione della Sardegna è stata orchestrata negli anni Cinquanta, e che l'amaro e ineluttabile destino della nostra isola era quello di diventare una "portaerei gigante che non si può affondare".
Raccontare le vicende odierne dei pescatori come inevitabile conseguenza di
ciò che era successo cinquant’anni prima in quei luoghi, quando furono espropriati
8000 ettari di terra per fare il poligono militare di capo Teulada. Questo è l’intento del film Piccola Pesca, dove il cinema del presente si confronta con l’esigenza di
ricostruire ciò che veramente avvenne in quegli anni. Da una parte le testimonianze
di chi ha vissuto quei giorni drammatici, dall’altra la battaglia dei pescatori che
trovano la forza e il coraggio di riprendersi quel tratto di mare, ormai ad esclusivo
uso militare.
Bisognava riuscire a mantenere un buon ritmo narrativo che tenesse alta l’attenzione dello spettatore, nonostante le tante informazioni. Sono state queste le difficoltà che ho incontrato durante la realizzazione del film, dove la macrostoria del passato e la microstoria del presente dovevano portare ad un epilogo che le unisse.
I pescatori del Sulcis sotto terra
Due anni fa, mentre giravo Un anno sotto terra , il documentario sull’occupazione
della miniera di Monteponi, vennero una decina di pescatori della regione Sulcis a
dare la propria solidarietà. Pranzammo insieme, sotto terra, e mi raccontarono i loro problemi: dal ’96 vivevano un grande disagio: il mare in cui pescavano era
definitivamente interdetto, zona militare ovunque e il sostentamento era impossibile.
L’origine del problema
Con Giampiero Pinna, ex consigliere regionale dei Ds, sono andato a trovare quei
pescatori, li ho conosciuti, li ho ascoltati uno per uno. E dopo tre mesi ho cominciato a girare.
Stando con i pescatori, ho capito che il problema è nato 50 anni fa, con l’esproprio
della terra prima e poi del mare.
La struttura del film
Ho ragionato a lungo sulla struttura da dare al racconto. La prima versione non i
soddisfaceva, era incompleta. E ho capito che non funzionava. Mi sono fermato, ho
riflettuto e ho girato ancora. E poi di nuovo in sala di montaggio.
Il girato
L’obiettivo “registico” è sempre stato quello di essere invisibile, di fare miei i problemi dei pescatori. Ho prodotto un girato immenso, circa 80 ore.
Le autorità militari
Ho chiesto di intervistare il Comandante Generale della Regione Sardegna, mi ha
risposto che era “un periodo caldo, meglio aspettare”. Di fatto non ho mai avuto
quell’intervista. Personalmente non ho avuto veri problemi, solo qualche fastidio
all’esterno del poligono: mi fermavano, volevano sapere che cosa stessi facendo,
volevano vedere le immagini. L’unico momento di tensione è stato quando un alto
ufficiale ha coperto di insulti i pescatori. Non c’è nel mio film, ma s’è visto in tutti i
tiggì.
Il documentario>
Dai corsi alla New York Film Academy ho sempre usato questa forma di espressione.
Ma anche la fiction mi interessa. Quella dei fratelli Dardenne, di Inarritu o Mike Leigh.
Mi sono piaciuti "Amores Perros", "I Cento Passi, "Magdalene" e "Volevo Solo Dormirle Addosso". Il mio prossimo film, Tutto torna - se me lo faranno fare - terrà conto della mia esperienza e di questi modelli.
Enrico Pitzianti