Note di regia del film La Forza del Passato
Nascita del progetto
Io credo che nella nostra vita si verifichino delle coincidenze importanti, delle sintonie con delle persone e delle storie, che dobbiamo saper cogliere. Il libro di Sandro Veronesi mi ha interessato ancora prima della sua pubblicazione: solo dall’aver letto su un giornale poche righe che ne anticipavano il contenuto. Ho letto il romanzo appena uscito (aprile 2000) e praticamente a un mese dalla sua pubblicazione era già stato fatto il contratto per la trasposizione cinematografica.
Io ho un profondo debito morale con Sandro Veronesi: il suo libro aveva suscitato interesse di registi anche più importanti di me, ma Sandro ha creduto nelle mie idee e nella mia interpretazione della sua storia e ha deciso di fidarsi. La decisione di non partecipare alla stesura della sceneggiatura è stato un altro gesto della grande lucidità intellettuale di Sandro. Temeva in quanto autore del libro, di non avere il distacco necessario dal romanzo per quei cambiamenti dolorosi ma che purtroppo sono necessari nel passaggio dalla parola scritta alle immagini di un film. La collaborazione con lui si è attuata invece alla fine di ogni stesura della sceneggiatura che abbiamo sempre discusso e verificato insieme.
La sceneggiatura
La maggiore difficoltà nella trasposizione del libro era nel fatto che a partire dalla seconda parte il romanzo diventa praticamente un monologo interiore del protagonista, Gianni Orzan, che riflette su se stesso, sulla sua vita, su tutti gli errori che ha commesso. Con Lara Fremder abbiamo subito scartato la possibilità di risolvere il problema con una voce fuori campo e abbiamo invece sviluppato un aspetto che nel libro era solo accennato. Gianni Orzan è uno scrittore di libri per bambini che ha inventato un personaggio che nel film si chiama Qwerty Uiop. Questo protagonista letterario assume delle sembianze concrete in diverse scene del film e aiuta lo spettattore a capire i dubbi, i sentimenti di Gianni Orzan. In certi momenti diventa addirittura una sorta di alter ego che aiuta Gianni nella ricerca della vera identità di suo padre.
Trieste
Ovviamente questa scelta all’inizio ha destato le perplessità di Sandro Veronesi. Il romanzo è ambientato completamente a Roma. E’ una Roma di ferragosto, quindi in una condizione di città deserta che in realtà dura una settimana al massimo. Un film ha delle riprese che durano al minimo sette/otto settimane, quindi esiste un problema di continuità nel rendere questo abbandono della città che era funzionale alla storia e sottolineava la solitidine del protagonista. Il motivo per cui ho scelto Trieste è per la sua storia. Trieste è per me una città solitaria, e lo è anche dal punto di vista geografico. Nel romanzo poi si parla di un generale dell’esercito italiano, di spie, di frontiere… da questo punto di vista Trieste era perfetta, inoltre è una città con un suo mistero intimo che aggiunge un ulteriore fascino alla trama. C’è poi la peculiarità di essere una città sul mare, con un porto importante, che è un’altra caratteristica che è finita nella drammaturgia del film. Infine è una città che al cinema è stata poco raccontata, per cui avevo anche il vantaggio di poter sorprendere lo spettatore.
Gli attori
Ho pensato a Sergio Rubini fin dalla scrittura della prima stesura. Mi sembrava che incarnasse alla perfezione la personalità di Gianni Orzan: una sorta di eterno ragazzo, tenero, fragile, pronto ad essere il bersaglio delle rivelazioni che Bogliasco gli dirà su suo padre. Si tratta di caratteristiche che Sergio ha raramente mostrato al cinema; qualcuno di questi aspetti s’intravedeva nel personaggio che interpretava nel film di Michele Placido, Del Perduto Amore. Inoltre è uno dei pochi attori della sua generazione che è assolutamente credibile se balla un pezzo di musica rock da solo in casa sua. Il personaggio di Bogliasco si è evoluto invece durante la sceneggiatura. Ci sembrava interessante che fosse straniero, poteva essere un’ulteriore elemento di ambiguità nella storia. Ci siamo poi anche progressivamente slegati dalla fisicità del personaggio del romanzo che era molto fisico e corpulento. E’ stato proprio grazie a questi cambiamenti che abbiamo iniziato a pensare anche con Lionello Cerri, il produttore, a Bruno Ganz. La cosa che ancora adesso mi sorprende è che Bruno Ganz ha letto la sceneggiatura, gli è piaciuta, e ha deciso subito di fare il film senza neanche chiedere di vedere i miei precedenti lavori. Con Sandra Ceccarelli invece si trattava di continuare una collaborazione che ci ha fatto scoprire a vicenda: lei mi ha scoperto come regista, io come attrice.
I collaboratori
Mettere insieme la troupe è più difficile che fare il casting del film, perché è solo dall’armonia delle persone che collaborano con te che dipende il risultato del tuo lavoro. Ogni piccolo malumore, lite, dissidio si riversa sempre a catena su qualcos’altro e lo danneggia. Io credo che in questo film ci sia stata una grande armonia sul set e mi sembra che tutto questo si veda anche nel prodotto finito. In un film il regista gode sempre di una maggiore visibilità, ma il lavoro fatto in comune con i principali caporeparto è fondamentale per mettere alla prova le proprie convinzioni e soprattutto per migliorarle. Io ho avuto poi la fortuna di avere collaboratori eccellenti dalla fotografia di Luca Bigazzi, alla scenografia di Paola Comencini, i costumi di Francesca Sartori, al montaggio di Carlotta Cristiani che ha montato anche i miei lavori precedenti.
La musica
Sono un grande appassionato e collezionista di musica. Proprio per questo odio l’idea di una colonna sonora troppo ingombrante o utilizzata come un juke box dove i pezzi musicali scattano in maniera automatica e prevedibile solo per amplificare le emozioni delle scene.
Per La Forza del Passato sono partito dal tipo di musica che Gianni Orzan ascolta quotidianamente: si tratta di un rock duro ma melodico che per il protagonista è l’espressione effimera della sua ribellione e allo stesso tempo un legame con l’adolescenza. Ho trovato due canzoni di due gruppi di Pordenone che mi sono sembrate molto efficaci: Batteri/Dipendo da te dei Tre Allegri Ragazzi Morti e Criminale dei Prozac+.
A questo punto la colonna sonora non doveva ricalcare sonorità rock ma giocare di contrappunto con la musica che Gianni Orzan ascolta nella vita. Così mi sono ricordato dei Quintorigo. Li avevo visti un paio d’anni fa a un festival di Sanremo e mi erano sembrati bravissimi e completamente fuoriluogo in quella manifestazione. Avevo poi ascoltato i loro dischi ed ero rimasto affascinato dalla loro capacità trasversale di coniugare generi musicali differenti, la voce del cantante era poi una delle sorprese più piacevoli ascoltate dai tempi di Demetrio Stratos. Non avevano mai composto musiche per un film ma non è stato per niente un problema, anzi molto spesso loro stessi hanno trovato delle soluzioni musicali che raccontano meglio delle parole della sceneggiatura i personaggi e i sentimenti del film.
Piergiorgio Gay