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Intervista con Sonia Bergamasco: Giulia Monfalco


Intervista con Sonia Bergamasco: Giulia Monfalco
Sonia Bergamasco: Giulia Monfalco
… Marco Tullio Giordana mi conosceva per gli spettacoli teatrali e i film che avevo fatto, sapeva anche della mia attività musicale come pianista e cantante, che continuo ad intrecciare a quella di attrice. Il personaggio di Giulia è stato riscritto in funzione di questo, per trasformarla in una ragazza che pur avendo studiato e amato molto la musica decide in modo un po’ autolesionista d’abbandonarla. Ho potuto così appropriarmi del suo percorso in maniera più profonda. Il personaggio di Giulia è difficile da fare accettare per il suo dato negativo, violento: una giovane che decide di strapparsi dal nucleo famigliare, dal compagno e soprattutto dalla sua bambina per ideali politici e partecipare, sia pure come comparsa, alla lotta armata. Un personaggio duro, aspro. Marco Tullio voleva che Giulia partisse da un fortissimo calore, da una vera passione anche se in seguito negata. Una costante del resto di tutti i personaggi de La meglio gioventù: hanno una passione che li guida, che li scalda. Alcuni riescono a viverla fino in fondo, riescono ad aprirsi al mondo, altri invece ne vengono travolti. Quando ho letto l’intero copione ho desiderato molto poter fare quel ruolo. Giulia non compare tanto quanto altri protagonisti del film, però ha tante "scene madri". Avendo messo a fuoco il centro del suo pulsare non mi è stato difficile passare dai vent’anni ai cinquanta nel giro d’una settimana; faceva parte d’un percorso che era stato molto ben illuminato. Marco Tullio ha dato molta fiducia a noi attori anche per una minima riscrittura del testo, soprattutto nello sfrondare cose troppo «scritte», com’è inevitabile in un testo accurato, ma che un attore deve riuscire a dire magari anche solo con lo sguardo.
Giulia ha la stessa curva tragica che ha anche il personaggio di Matteo. Per Matteo c’è un grado d’identificazione diverso: si partecipa alle sue difficoltà finché non decide di farla finita. Giulia invece si autoelimina, ammutolisce, sempre con questa sua difficoltà di comunicazione che può renderla anche odiosa. Abbiamo tentato di far capire che tutta quella negatività ha origine da un suo profondo dolore.
Mi sono documentata su Giulia consultando molto materiale su questi trent’anni. Ci appartengono, anche se non abbiamo vissuto in quella generazione. Ho letto il libro autobiografico scritto dalla ex-brigatista Adriana Faranda, che di certo è stato un modello per gli sceneggiatori. Anche lei ha abbandonato la figlia, ma ha voluto mantenere negli anni un rapporto con lei, a rischio di venire scoperta. In seguito è stata scarcerata, adesso fa la fotografa. Mi sono ispirata un po’ a lei, alle sue luci e ombre, ma con molta libertà, anche perché ciò che contava era soprattutto la storia di una famiglia, il quadro generale e i rapporti affettivi (o di forza!) che cambiavano.
La qualità che amo in Marco Tullio è l’estrema precisione, pur essendo sempre apertissimo a tutte le suggestioni sia degli attori che dei tecnici. Ha uno sguardo quasi matematico - in senso musicale però - che da una parte rassicura molto e dall’altra rende tutto più semplice.
Marco Tullio voleva fosse molto chiaro che Giulia non aveva ucciso nessuno, altrimenti sarebbe stato difficile provare un po’ di compassione anche per lei. Una cosa importante per il personaggio ma anche per me. Mi sembra molto forte che la legge abbia perdonato Giulia e l’abbia liberata e sia invece lei a non potersi perdonare quello che ha fatto.

14/02/2007