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Note di regia del film "Il Miracolo"


Il regista Edoardo Winspeare descrive il film "Il Miracolo".


Note di regia del film
Set del film "Il Miracolo" di Edoardo Winspeare
Che Film fare dopo “Sangue Vivo” e “Pizzicata”?
L’amore per il cinema nei miei primi due lungometraggi salentini si accompagnava ad
una viscerale passione per la mia terra, con la conseguenza che la loro poetica risentiva fortemente della ricerca antropologica, sia dal punto di vista drammaturgico che estetico.
Questa č stata, mi č stato detto, anche la loro forza, perché mi sono nutrito del materiale umano che avevo a portata di mano dopo lunghi anni di osservazione sul campo. La mia “ortodossia” nei confronti della musica popolare salentina, della lingua, del tipo fisico e culturale dei personaggi, per non parlare dei luoghi scelti, hanno contribuito forse a far riconoscere ai miei due film, in particolare “Sangue Vivo”, una convincente credibilitŕ di tipo realistico.
Ma la scommessa di questi lavori, una volta assorbito il realismo documentaristico, č stata di trascendere da esso per creare una vicenda umana universale, con personaggi allo stesso tempo tragici e moderni, dipinti in maniera da comunicare sia l’archetipo emozionale, sia la loro schizofrenica modernitŕ.
Il lavoro di ricerca sulla cultura e sulla societŕ salentine, assieme a questa ricerca drammaturgica, hanno forse reso “Pizzicata” e “Sangue Vivo”, se non apprezzabili, almeno riconoscibili a spettatori di molti paesi del mondo. Il fatto che i miei due film siano stati invitati a piů di sessanta festival e distribuiti in vari paesi del mondo (“Pizzicata” č uscito anche negli Usa, anche se ovviamente con poche copie e in piccole sale “specializzate”) mi rende molto orgoglioso. Io spero, dunque, che il “mio” Salento sia diventato una metafora di un qualsiasi altro luogo della Terra e che il mio amore nei suoi confronti se non altro abbia dato una forma diversa ad una sostanza uguale: quella dei sentimenti dell’uomo. Un mio amico cinese dice sempre “Visione globale, caratteristica locale”. Ho cercato di fare mio questo principio.
In questi anni č stato molto importante per me il confronto con Giorgia Cecere, la cosceneggiatrice di “Sangue Vivo” e con i produttori, Maurizio Tini e Tore Sansonetti,
sull’idea di Cinema e sull’Arte in generale. L’incontro con queste persone ha contribuito,
mi sembra, ad affinare la mia poetica filmica, a farmi intravedere un nuovo senso nell’ormai stanca immagine in movimento, e soprattutto a farmi riflettere sul ruolo di autore-regista. Io penso ai registi che amo come a poeti di immagini che si nutrono delleprofonditŕ dell’anima, perché sono capaci di riconoscerle, e che hanno eletto come compagna della creazione, come scandaglio emotivo, la narrazione cinematografica.
Questa premessa era necessaria per introdurre le intenzioni artistiche del mio terzo lungometraggio, il cui il titolo č “Il miracolo”, insieme al bisogno di esporre il mio convincimento che un bel film č una tale prodigiosa alchimia di talenti da rendere in qualche maniera riduttiva la firma del regista, sebbene ne sia in piccola o gran parte l’autore. Personalmente, sarei molto orgoglioso se si riconoscesse in un mio film un piccolo senso nella e della Vita di chi lo ha visto, ma allo stesso tempo sarei ancora piů felice se un film da me diretto potesse prescindere da me tanto č emozione pura.
Quando Giorgia Cecere mi ha raccontato la sua prima idea di un bambino che fa i miracoli, proprio nel senso che guarisce le persone, e per questo viene sfruttato dal padre che alla fine perň si comporta da uomo difendendo il figlio dagli sciacalli della televisione, ho pensato “č questo il film che voglio fare!”. Dopo un anno di lavoro degli sceneggiatori e di tutti noi, infiniti scontri, ansie intellettuali, paure del cattivo gusto, decisioni (coraggiose?), ripensamenti e geniali sciocchezze, posso dire con felicitŕ: “questo č il mio film”, una storia che racconta l’unico vero prodigio concesso all’uomo che č quello dell’Amore. Siamo partiti dalla “sorgente” del fiume delle idee, e lě le acque erano tumultuose e disperse in mille rivoli, ma siamo finalmente arrivati alla confluenza con l’emissario maggiore. Poi, ormai in pianura, il corso del fiume diventa placido e maturo, ma ancora teneramente consapevole della recente e vitale infanzia montanara. Una volta in pianura, bisogna controllare con perizia gli argini affinché il fiume diventato grande non straripi.
Infine, non resta che salire su di una barca e lasciarsi portare dalla corrente, a volte con il timone sotto controllo e altre facendosi trasportare, cullare e magari pescando qualche sorpresa. Alla foce, infine, in un ultimo fatale orgasmo, il vecchio fiume abbandona le sue acque al mare grande. Non vorrei sembrare il giardiniere del Presidente e nemmeno un mediocre poeta haiku giapponese, vorrei solo essere molto consapevole del mio ruolo, in tutte le fasi della lavorazione e con ogni stato d’animo possibile, euforia creativa come indecisione, successo come sofferenza. Penso che spesso sono i momenti negativi a rendere interessante il percorso creativo di un film, a patto che io - come regista- riesca a coglierne il messaggio e indirizzarlo in un nuovo segno.
Con questo film desidero anche “emanciparmi” dalle mie due opere salentine, senza perň rinnegarle. Il mio terzo film č sicuramente figlio dei primi due, ma anche molto diverso per alcuni aspetti. Innanzitutto č quasi per intero girato a Taranto. Questa cittŕ possiede la luce piů struggente d’Italia ed č della Luce che parla la nostra storia. Si parte da quel barlume che diventa un abbagliante chiarore quando ci si trova appena dopo la Vita e subito prima della Morte. Forse esiste una spiegazione scientifica o quasi scientifica a questa esperienza, ma non č questo aspetto che mi interessa, non ho voluto fare un film sul paranormale, sul confine tra la scienza e quello che la scienza non puň spiegare. Ho voluto una storia di forte realismo affinché l’emozione di un mistero “normale” arrivasse quotidiana come la potenza dell’amore.
Taranto č perfetta perché č spaventosa, con i fumi dell’impianto siderurgico piů grande d’Europa a ridosso della cittŕ, ma č anche incantevole, per la posizione scelta dagli antichi coloni spartani nel luogo piů ameno della Magna Grecia. E’ lo scenario ideale per un “miracolo”. Secondo me, se Gesů Cristo dovesse ritornare sulla Terra lo farebbe sulle sponde del Mar Piccolo. E poi č circondata dall’acqua che riflette per ogni dove la Luce.
L’Acqua e la Luce, sfuggente e chiara, poi una giovane solitudine femminile e l’innocenza di una adolescenza maschile, l’umanitŕ e la purezza, due destini, uno liquido e l’altro etereo, sfiancati dal Fuoco e dalla Materia, piů arroganti e facili. Tutto questo avrei voluto in “Un miracolo” a Taranto. Va da sé che la sfida fotografica č stata ciclopica. Una luce vibrante.
Per ultimo vorrei soffermarmi sugli attori. Nel lavoro con gli interpreti, che sono semplicemente “giusti”, sia che siano dei professionisti o che siano “presi dalla strada” (come č stato per “Sangue Vivo”), ho pensato di estremizzare, quando possibile, il lavoro sul quotidiano e in particolare sugli “ossimori del vissuto”, che paradossalmente rendono la recitazione piů credibile e vera (lo so che č una forzatura, ma a volte quando uno č triste canta o piů semplicemente immagino delle “distrazioni” nell’interpretazione).
Spero che un barlume di quella Luce che vede il ragazzino Tonio nel film ci “illumini”. Io l’ho cercata per trattenerla un poco con me…

Edoardo Winspeare