Note di regia del film "Il Mio Paese"
L’Italia è sempre stata un paese difficile da decifrare e quindi difficile da raccontare. È il paese dei grandi conflitti politici, sociali e culturali, delle grandi guerre, del miracolo economico, delle catastrofi ambientali e di molte altre cose scritte sui libri, viste in televisione e raccontate nei film. Quando ho visto il film di Joris Ivens L’Italia non è un paese povero, ho avuto l’impressione che quell’opera contenesse un elemento fondamentale, una lente di ingrandimento capace di rendere chiaro il racconto del percorso che una intera società sta realizzando: il lavoro individuale e sociale.
Il lavoro sembra un tema poco poetico, crudo, difficile da manipolare narrativamente, ma in realtà è uno dei pochi temi davvero universali, insieme all’amore, all’amicizia e a pochissime altre cose. Gli esseri umani con il lavoro mutano il mondo che li circonda, e mutano la propria natura, incidono nella storia, determinano il loro stile di vita.
Già Cesare Zavattini avrebbe voluto realizzare un film intitolato Il mio paese, un viaggio nell’Italia del dopoguerra che propose senza successo prima a De Sica e poi a Rossellini.
Questo nostro paese è un luogo magmatico, cangiante, difficile da interpretare, mi sono fatto prendere per mano da questi giganti del cinema proprio per non perdermi in una realtà complessa che mi sovrasta ogni giorno, imparando da loro una poetica, l’unica per me possibile: l’adesione a ciò che vedo, totale, anche alle cose che non mi piacciono, come la devastazione ambientale, perché anche quelle cose sono “mie”, sia quelle frutto delle idee che condivido, sia di quelle che combatto, dello stile di vita che conduco e di quello che rifiuto.
Insomma, il mio paese sognato e reinventato in mille modi diversi. Questo è il mio modo di raccontarlo.
Daniele Vicari