Intervista a Pietro Reggiani sul film "L'Estate di Mio Fratello"
Tanti premi e riconoscimenti, soprattutto da parte del pubblico, eppure nessuno ha distribuito "L’Estate di Mio Fratello", perché?
Pietro Reggiani: Una domanda cui non ho una risposta precisa. Una somma di coincidenze, immagino, persone cui il film non è piaciuto, che non hanno ritenuto avesse un potenziale commerciale, un certo isolamento, la mancanza di contatti diretti con i distributori, le difficoltà della distribuzione italiana. Il difficile è restare persuasi che il film ha un certo valore.
Il film è il primo ad essere “adottato” da SelfCinema, la distribuzione fatta dagli spettatori. L’obiettivo del progetto è portare al cinema film di qualità che non sono rientrati nella distribuzione classica. Questa iniziativa rappresenta un’occasione importante?
Pietro Reggiani: Beh, lo è. Sono davvero curioso di vedere quello che succede. In ogni caso, la solidarietà che sento intorno è tanta. E senza SelfCinema non sarebbe stato possibile arrivare al cinema.
Ritorniamo al film. E’ ambientato negli anni 70, sulle colline del veronese e con attori veronesi…e lei è veronese. Una scelta solo “comoda” o è pesato di piu’ il legame con il territorio?
Pietro Reggiani: Mah, diciamo che la storia è un po’ sospesa tra realtà e fantasia e, se vogliamo, ha un "plot" forte, una sequenza di eventi molto marcata, o almeno così mi è sembrato quando l’ho scritta. Quindi ho pensato di avere il margine per costruire un’ambientazione il più possibile minimale, "realistica", fatta di piccole cose, che potevo avere solo ambientando la vicenda tra luoghi, persone e parole che conoscevo.
Veniamo agli attori, è la prima volta che si vedono bambini recitare davvero e sono strabilianti. Di solito davanti alle telecamere sono se stessi, qui invece sembrano attori adulti. Come è avvenuta la scelta?
Pietro Reggiani: E’ una strana partizione delle recitazioni dei bambini. Di solito il difetto che vedo più spesso è quello di bambini costretti a recitare battute brillanti, molto "adulte", con esiti quasi disumani quando sono mostruosamente "adulti" anche loro, come in certi film americani, o con esiti tristi, quando non sono così bravi e la prevaricazione degli adulti si mostra in tutta la sua evidenza. Nel film ho cercato di chiedere ai bambini di essere bambini, ma naturalmente ogni bambino ha portato la sua individualità nei personaggi e quindi ho finito per scegliere bambini che assomigliassero, nella vita reale, nelle emozioni che erano in grado di rievocare, ai personaggi del film.
Una domanda inevitabile. Ha fratelli o sorelle? Quanto c’è di autobiografico?
Pietro Reggiani: Non ho fratelli o sorelle, in effetti. E ho sempre vissuto la condizione di figlio unico con sospetto, dato che almeno negli anni settanta era qualcosa di anomalo. Mi è sempre stato molto difficile separare quanto essere figlio unico fosse responsabilità mia o dei miei genitori o del destino.
Gianni Canova ha parlato de "L’Estate di Mio Fratello" come un film madeleine. Cos’è che tanto ci ricorda?
Pietro Reggiani: Devo dire che questo effetto, il riportare a qualcosa di nostalgico, di perduto, il film l’ha anche su di me, ed è stata una sorpresa, forse la più grande una volta finite le riprese. Perché ci doveva essere una seconda parte, o meglio una cornice, con il protagonista adulto che rievocava la sua infanzia, ma quell’infanzia era così forte, violenta, che non era facile accostare qualcosa senza perdere l’incanto. Al tempo stesso, avevo girato il film pensando a un montaggio rapido, serrato, incastonato nella vicenda dell’adulto, e il materiale a quel punto era terribilmente lento e a tratti divagatorio. C’è voluto un bel po’…cinque anni!… per capire che bisognava lasciarla vinta al materiale e mostrarlo così, con le sue lentezze ma anche con la sua forza.
“Asino chi Legge” è un suo cortometraggio di qualche anno fa. Candidato ai David di Donatello e ad oggi il corto piu’ venduto all’estero. Insomma, è accaduto l’esatto contrario che con "L’Estate di Mio Fratello". Come è andata?
Pietro Reggiani: E’ stata una vera sorpresa, una pessima introduzione, in un certo senso, al mondo del cinema: era nozione comune che i soldi di un cortometraggio dovessero considerarsi a fondo perduto, ed ecco che il primo lavoro guadagnava un sacco di soldi! E’ rimasta anche l’eco di un modello che non andava tradito: il finto documentario su un mondo immaginario. Anche questo ha contribuito a rallentare la lavorazione de "L’Estate".
04/05/2007