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Note di regia del film "Io, L'Altro"


Note di regia del film
Una scena del film "Io, L'Altro"
O navis, referent in mare ti novi
Fluctus. O quid agis!
Fortiter occupPortum
.
(o nave, altri flutti ti
portano in mare. Che
fai? Lotti per
raggiungere il porto
)

E così Orazio scrive: la nave dunque è usata come metafora soltanto per la società minacciata dall’interno o dall’esterno.
Il poeta Auden , nel suo saggio “gli irati flutti” dice: Quando la società è in uno stato di normalità, l’immagine appropriata è la città o il giardino. Questo è il luogo dove la gente vuole e dovrebbe essere. Quanto al mare gli autori classici avrebbero convenuto con Marianna Moore :
E' nella natura umana stare al centro di una cosa; ma nel mare non si può stare al centro.
Il viaggio per mare dei due protagonisti di questo film è dunque un male necessario; l’attraversamento di ciò che separa ed estranea. Ne Odisseo ne Giasone si mettono in mare per amore del viaggio: il primo sta cercando di tornare in patria dopo una lunga guerra; il secondo sta cercando di impadronirsi del vello d’oro in un paese lontano per portarlo: dunque è una necessità pratica della vita che li porta ma da questa necessità lievita il racconto, la narrazione che trasforma i casi particolari delle loro vite in simboli
universali dell’uomo. La nave che sceglie deliberatamente l’alto mare, è il simbolo dello stato in disordine, la nave dei folli, come avviene nella versione che Barclay da nel
Narrenschiff di Brandt:
Così come lo specchio restituisce forma e figura del volto dell'uomo, così nella nostra nave vedrà scritta forma e figura del suo malgoverno.
Che barca è questa, dei due proprietari, e dalla strana attrezzatura, è un grande vascello. Questa è la nave dei folli. Gli manca un buon pilota, l’attende la tempesta, scogli, naufragio, tutto dovrà andare distrutto per mancanza di buon governo, come oggi la nostra terra.
Giuseppe ( beppe) e Yousef ( l’equivalente in arabo), subiscono il diluvio della tirannia e della forza, che sta sommergendo il nostro mondo, come un deus ex machina che lo dirige verso la catastrofe finale, fino ad individuarne la nube.
Protagonista insidioso di questo epos è appunto una forza sovra umana, che tramite la radio, unico arbitro tra questi due figli del popolo, come un tempo gli dei parlavano per bocca di araldi, sconvolge la storia di due uomini, mentre le sue trasmissioni galleggiano da una stazione all’altra, orchestrando notizie commenti, musica, li incita a divenire due belve. Anzi appropriandosi dei loro destini e frantumandoli tra le sue dita.
Giuseppe Yousef non sono che un doppio che compone un’unità simbolica dell’umanità.
Hanno la stessa età, sono appunto sulla stessa barca, e la loro collaborazione è la condizione necessaria alla vita di entrambi. Una storia altra, una storia di potere e di forza, scende tra questo doppio e come una demoniaca leva ne spacca l’unità.
Questo film è la storia di due amici, due figli del popolo, due figli di Dio, che hanno unito le loro forze per la realizzazione di un sogno di libertà: una barca tutta loro con cui guadagnarsi la vita.
Finchè lontani dalla terra, nel mezzo del mare, si abbatte su di loro la condanna del sospetto che viene dalla terra devastata dalla guerra.
È come una contaminazione, un lento avvelenamento trasmesso sulle onde insospettabili di una radio, che li porterà alla follia e alla tragedia, a sospettarsi reciprocamente, a vedere la realtà del loro legame divenire irreale. Fino all’odio, e alla morte, fino a rappresentare definitivamente i conflitti che insanguinano il mondo sul teatro del loro peschereccio.
Giuseppe e Yousef vivono sulla loro pelle la cosiddetta guerra di civiltà.
Giuseppe e Yousef sono due vittime collaterali.

Mohsen Melliti