Comunicato di Valerio Jalongo dei "Centoautori" al Pesaro Film Festival 2007
Quando, nel febbraio scorso, abbiamo iniziato a vederci alla libreria del Cinema a Trastevere, eravamo una cinquantina di registi e sceneggiatori, alcuni dei quali si conoscevano appena. Scrivemmo due lettere aperte per chiedere un nuovo profilo culturale ed etico alla direzione di Rai Cinema. In calce a quelle lettere, radunammo duecento firme di autori di cinema e televisione, e rimanemmo in fiduciosa attesa. Nel frattempo i nostri incontri del giovedì proseguivano, ed il 7 maggio è venuto il grande incontro all’Ambra Jovinelli: i 1400 firmatari del documento Per una costituente del cinema e della tv si sono moltiplicati: molti quella sera piovosa sono rimasti fuori dal teatro, ma da allora Centoautori ha avuto la certezza di aver toccato nervi scoperti, di essere diventato movimento. E dello strano silenzio seguìto alle dimissioni forzate di Macchitella, di quel silenzio depressivo, di quella opacità di certe stanze del potere che sono stati motivo del nostro primo incontro, non parliamo quasi più. Non so quanti, in quelle stanze, e nelle redazioni dei giornali, e tra gli “addetti ai lavori” abbiano colto la grande forza e la radicale novità dei Centoautori. Eppure si ha la sensazione che il suo esempio si vada diffondendo. Nel teatro, nelle altre arti, nel giornalismo si vanno concentrando fermenti e stilando lettere aperte: mentre soffia il vento dell’antipolitica questi movimenti mi sembra che chiedano invece alla politica un ruolo diverso, una capacità di visione alta e complessiva dei problemi e delle sfide che da troppo tempo il nostro paese si rifiuta di affrontare. Dalla nostra prima lettera aperta sono passati quattro mesi: quale altra azienda al mondo potrebbe rimanere per quest’eternità senza direttore e senza amministratore delegato? È quello che succede in Rai, grazie ad un Consiglio di Amministrazione paralizzato da chi antepone le logiche della lottizzazione al dovere di una buona gestione della massima impresa culturale del paese. Centoautori è fiorito istintivamente sul nodo cruciale del rapporto tra politica e cultura, sulla riflessione delle sue distorsioni presenti e sul percorso di crescita che questo rapporto deve avere il coraggio di imboccare, con fantasia, coraggio, determinazione. Ecco la sua prima diversità: in un settore culturale in cui da sempre ci sono fortissimi legami con i partiti, Centoautori è un movimento autonomo, non allineato, trasversale, che unisce e attraversa le generazioni e le professioni del cinema e della televisione. Ma la sua originalità più profonda è che le nostre posizioni non hanno il carattere di rivendicazioni di categoria, ma nascono dalla convinzione che il declino civile e politico di questi anni sia stato causato dal modo in cui sono stati lesi i diritti degli spettatori italiani di cinema e di televisione. La nostra riflessione parte da lì, da come siano diventati centrali i diritti dello spettatore per giudicare quanto uno Stato sappia realmente tutelare i diritti dei propri cittadini. La posta in gioco, altissima, non è dunque solo la libertà di espressione di un gruppo di “privilegiati”, e neppure, come certa stampa ama semplificare, la difesa della Cultura con la “C” maiuscola contro la volgarità della tv. Centoautori non chiede assistenzialismo, non chiede programmazioni obbligatorie, ma un mercato libero, equo e regolato, dove la più ampia varietà di soggetti possa svolgere la propria attività e dove lo Stato giochi il suo ruolo di garante, e incentivi la qualità, la diversità e il pluralismo delle opere cinematografiche e televisive. Siamo convinti che difendere ed incoraggiare il talento, creare i presupposti per maggiori spazi espressivi sia innanzitutto necessario per garantire il diritto essenziale dei cittadini-spettatori ad un’offerta culturale più ampia, più libera, più controversa, stimolante e originale e che questa sia un’urgenza del nostro paese, che per tornare a crescere deve tornare ad osservarsi, a raccontarsi, ad amarsi.