Note di regia del film "Lascia Perdere, Johnny!"
Ci sono storie che si fanno cercare a lungo, e storie che si presentano da sole, quasi volessero costringerti a raccontarle. Questa storia l’ho incontrata per caso, quando non pensavo affatto di doverne trovare una e fin dal primo incontro l’ho riconosciuta come una storia che mi sarebbe piaciuto raccontare perchè, sia pure per via indiretta, parlava di cose che mi stanno a cuore.
In primo luogo, questa è una storia di musica, e l’amore per la musica è una parte essenziale della mia vita: una passione che gradualmente, grazie all’incontro col gruppo degli Avion Travel, si è trasformata in un mestiere fatto da dilettante e poi in una complessa esperienza umana. Con gli Avion Travel ho suonato e ho vissuto: abbiamo condiviso il palco per più di cento repliche in giro per l’Italia con l’operina “La guerra vista dalla luna”, abbiamo inciso due dischi, sono diventato loro amico, e soprattutto ho imparato a sentire il gruppo come una strana comunità che sopravvive suonando, e che suonando, a poco a poco, diventa famiglia. In altre parole, dagli Avion Travel sono stato adottato.
Insieme a loro è nata la mia prima esperienza di regia, il cortometraggio Tipota, e all’origine di questa nuova storia ci sono di nuovo loro, con i loro racconti. In particolare quelli di Fausto Mesolella, grande chitarrista nonché raccontatore. Erano racconti di musica, ovviamente, ma anche qualcosa di più: parlavano dei loro inizi, delle loro prime tournée, di un ragazzo che senza saperlo cerca il suo posto nel mondo e suonando trova una famiglia.
Così, per quanto frammentarie, queste storie di musicisti diventavano per me sempre più decisive: parlavano di musica e di famiglia, come ho detto, e parlavano anche degli anni Settanta. Questo mi chiamava di nuovo in causa: anch’io ero ragazzo negli anni Settanta. Non posso dire di sentirne la nostalgia, ma li ricordo come anni di ingenuità, come un tempo in cui ci si affidava al futuro e agli altri con una certa incoscienza, ma anche con fiducia. Un tempo, per così dire, in cui i desideri contavano più delle possibilità, il talento non era un’ossessione e il rapporto con gli altri non solo un rapporto di concorrenza.
Alla fine, dunque, sono questi tre gli elementi che hanno preso forma e si sono coagulati nella storia del nostro Faustino Ciaramella: la musica, la famiglia, e l’”ingenuità” degli anni Settanta. Quanto più ne parlavo, tanto più sentivo il bisogno di dare una forma precisa a questa costellazione di sentimenti, e questa forma è venuta quasi da sola, senza forzature, grazie all’aiuto e al lavoro di Umberto Contarello, Filippo Gravino, Guido Iuculano e Valia Santella. Con loro ho cominciato a immaginarla come la storia di un ragazzo che inizia a suonare, e che nel disastro di una breve e improbabile tournée riesce a mettere insieme una strana famiglia, togliendo peso ai conflitti e affidandosi ai suoi compagni di avventura: un impresario dalla fuga facile, un trombettista-bidello, un direttore d’orchestra al tramonto, un cantante che non ha mai avuto successo...
Almeno in scrittura, questa storia è stata pensata in tre parti, quasi in tre capitoli, ognuno dei quali si porta dentro il sentimento degli anni Settanta, ma anche l’eco di altre epoche, già passate o non ancora venute: gli anni Cinquanta, con Falasco e i suoi orchestrali; i Sessanta, che vivono nella figura del Maestro Riverberi e nella sua musica; gli anni Ottanta, allusi nella parte finale, con lo spettro del fallimento e della solitudine, segni di un nuovo tempo che sta per cominciare.
La voce fuori campo è un elemento importante, fondamentale per tutto il film: non nasce da una scelta precostituita, ma dall’esatta individuazione del carattere del protagonista, del suo modo di stare al mondo. Faustino è un ragazzo che preferisce sempre fare un passo indietro piuttosto che un passo avanti, e questo è del tutto evidente dal rapporto tra le cose che dice e le cose che pensa. Detto con altre parole, è un ragazzo che pensa molto e parla pochissimo, e la voce fuori campo ci fa entrare direttamente nel suo mondo interiore, fatto di osservazioni sempre un po’ fuori tono, e di pensieri troppo ingenui per essere detti ad alta voce.
Come spesso capita alle storie di formazione, anche la storia di Faustino è collocata in un tempo chiuso, il tempo che precede la sua partenza per il servizio militare. Sarebbe, in apparenza, un tempo di attesa, ma lui lo usa inconsapevolmente, e lo vive come un vero servizio militare, un apprendistato, un’introduzione alla vita adulta.
Per quanto riguarda la scelta del cast, gli attori a cui penso sono legati a questa storia fin dall’inizio, perché li ho in mente da quando ho iniziato a scrivere: sono persone che conosco bene, colleghi che stimo, e l’immagine che ho di loro ha contribuito in maniera determinante alla nascita dei personaggi.
A questo proposito, tuttavia, devo segnalare un’importante eccezione, che riguarda la scelta del protagonista. L’avventura che ho vissuto finora, dal primo incontro con i racconti degli Avion Travel fino alla scrittura del copione, mi ha sempre dato il senso di una grande facilità: la storia nasceva senza forzature, e questo mi dimostrava la verità e l’autenticità del racconto. Sapevo tuttavia che la scelta del protagonista sarebbe stata difficile, temevo di non trovare nella vita nulla che si adattasse a quello che avevo immaginato.
I fatti mi hanno dato torto: incontrando una decina di ragazzi, musicisti dilettanti della provincia di Caserta, mi sono trovato di fronte al mio protagonista in carne ed ossa, un ragazzo che ha l’esatta fisionomia fisica ed esistenziale di Faustino. Questo incontro, così semplice e improvviso, mi ha emozionato: mi piace considerarlo una prova della verità e del valore di questa storia, e mi dà serenità e sicurezza nell’affrontare le difficoltà che verranno.
Fabrizio Bentivoglio