Fondazione Fare Cinema
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Note di regia del documentario "Cimap!
Cento Italiani Matti a Pechino"


Note di regia del documentario
Nell’agosto del 2007, un’associazione, l’ANPIS, ed un movimento, Le parole ritrovate, entrambi in prima linea nell’affrontare la malattia mentale all’interno del servizio sanitario pubblico italiano, hanno dato vita ad un evento straordinario. Per combattere il pregiudizio che ancora soffoca la possibilitŕ d’integrazione e di cura dei malati mentali, hanno organizzato un viaggio in treno da Venezia a Pechino: 12.000 chilometri in venti giorni con 77 malati mentali e 130 tra familiari, operatori sanitari, volontari e psichiatri provenienti da tutta Italia.
Le organizzazioni che avevano ideato il viaggio volevano un film documentario lungometraggio contro lo stigma e l’emarginazione che spesso subiscono i malati mentali, ma soprattutto volevano che si intuisse il metodo da loro usato non solo per “curare” i malati ma per sostenere anche i loro familiari e per arricchire umanamente tutti, psichiatri ed operatori compresi
Ho girato quindi per tutta l’Italia per conoscere uno per uno tutti quelli che sarebbero dovuti partire. Selezionati i miei otto personaggi – presi da tutte le “categorie”, malati, operatori, familiari, ecc., e da diverse regioni italiane – ho creato un gruppo di auto mutuo aiuto (come si chiamano le persone che si mettono insieme per la terapia di gruppo, spesso anche senza psicologo o psichiatra, ma solo con una figura di facilitatore che puň essere svolta anche da un malato) appositamente per il film.
Naturalmente durante il viaggio non tutti e otto hanno “funzionato” allo stesso modo: sono emersi tre protagonisti dal gruppo, due protagonisti esterni al gruppo, diversi personaggi minori, ma tutti collegati ai miei personaggi da amicizia o collaborazione. Per non perdere di vista il resto dei viaggiatori, “l’operazione treno”, ho chiesto al mio gruppo di ideare un’iniziativa creativa che coinvolgesse tutti gli altri; io pensavo al teatro, ma per fortuna loro hanno inventato un’altra cosa.
In questo treno c’era un’atmosfera speciale: non sapevi mai se avevi di fronte un matto, uno psichiatra, un familiare o altro, c’era una collaborazione ed una grande voglia di conoscersi e di fare le cose assieme, si cercava di prendere le decisioni comuni con la massima democrazia possibile: una sorta di cristiano-comunismo realizzato. Noi della troupe eravamo completamente coinvolti da questa atmosfera e, per quanto ci ritagliassimo molti momenti soli con i nostri protagonisti, eravamo parte integrante dei 200 e ovviamente, vivendo tutti assieme, dopo due giorni nessuno “ci vedeva piů”.
Il viaggio ha in qualche modo trasformato tutti: ho potuto quindi raccontare l’evoluzione dei miei personaggi, e attraverso questa avere una metafora forte della possibilitŕ che hanno i malati mentali - quando messi nelle giuste condizioni (non c’č niente da fare, č un luogo comune ma corrisponde alla realtŕ: l’amore č la migliore medicina) - di migliorare la qualitŕ della loro vita. E, come dovrebbe accadere ogni volta che si gira un documentario, ho vissuto un’esperienza che ha cambiato qualcosa anche di me.