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Note di regia del documentario "Napoli Piazza Municipio"


Note di regia del documentario
Vorrei avere la voce di Gogol’ e poter dire come fa lui della Prospettiva Nevskij a Pietroburgo, Piazza Municipio a Napoli “è tutto”. E, come lui, iniziare a raccontare i dettagli, setacciare al microscopio questa grande piazza, farne un racconto semplice e lineare, descrivere gli anfratti e i recessi, le mille e una attività che si svolgono sulle sue pietre, giardini, palazzi, sotterranei… ma non è così. Forse perché, facendo un film “su” questo tutto che è Piazza Municipio, non volevo fare un film su un luogo. Piuttosto un film “con” un luogo, dove registrare il fatto che la somma dei piccoli atti quotidiani delle persone che vivono una piccola porzione di mondo, in fondo, fa la storia.
All’inizio pensavo di fare un film su una serie di storie tenute insieme da un luogo, un documentario che avesse una struttura da film di finzione, dove non ci fossero storie che si sviluppano per accumulo e inseguimento dei personaggi, ma che esistessero dentro la grazia di momenti unici e paradigmatici, nello stesso tempo, quasi a formare un palinsesto della realtà.
Mi dico in un modo un po’ naive che con questo film ho cercato:
- di dare importanza alle immagini di vita quotidiana che di solito vengono utilizzate come “copertura” per le news di costume
- di restituire alla storia il quotidiano di tutti noi
- affermare che “siamo qui, ora e per questo facciamo la storia in ogni momento della nostra esistenza”.
È un film sulle tracce che ci lasciamo dietro quotidianamente, per recuperare il senso di appartenenza al presente
Per questa ragione ho deciso di filmare con un mezzo relativamente pesante come la pellicola 16mm e anche la scelta degli obiettivi da utilizzare è diventata una delle funzioni del racconto. Il gran numero di riprese al teleobbiettivo che sono nel film è in un certo modo in contrasto con l’idea di fare un film su una piazza, ma mi ha consentito di raccontare più che uno spazio fisico, uno spazio umano. Le incarnazioni che cerco e l’articolazione tra le sequenze può prendere strade diverse, comporre una stratificazione di storie, fatti, persone in cui l’improvvisazione - in quanto metodo simmetrico e corrispondente della realtà – ne diventa il filo conduttore.
Il carattere di improvvisazione che ha il materiale filmato doveva essere conservato al montaggio. Per circa un anno, con molte pause, ho lavorato io stesso al montaggio, assistito da Valentina Cicogna, abbiamo costruito degli abbozzi di scene e delle articolazioni del racconto attingendo da tutto il materiale. È stato però solo grazie all’intervento di Aurelie Ricard se il film ha oggi la forma che ha, il suo carattere rude e poetico allo stesso tempo, il suo carattere “triviale” (come ripeteva sempre Aurelie) e teorico. In questa temperatura umana di fatti e immagini, di storie e “epoche storiche” stratificate, la musica jazz pensata ed eseguita (come un’improvvisazione) da Riccardo Veno diventa ‘voce narrante’, spirito del film, delle sequenze che emergono come dagli stessi scavi di un archivio composito di materiali. Il loro tempo reale che sembra diventare passato, fotogramma dopo fotogramma. La musica di Riccardo che “sembra” farsi in diretta rafforza e compie questo filmare al passato prossimo, “era” un attimo fa e ora non è già più. Con Riccardo siamo partiti da un suo concerto che avevo filmato un po’ per caso in piazza nei giorni in cui facevo una delle tante sessioni di ripresa.
In una piazza di una città come Napoli il pittoresco è presenza costante, dimensione universale di racconti diversi che si dipanano attraverso la teatralità degli atteggiamenti, i personaggi unici, la gran disponibilità delle persone, il vivere in strada e nell’essere zona di confine, città di emigrati e turisti.

Bruno Oliviero