Fondazione Fare Cinema
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Note di regia del documentario "L'Ora d'Amore"


Note di regia del documentario
Nell’agosto del 2005 eravamo stati invitati dal Festival di Sao Paulo per presentare un nostro cortometraggio; lì abbiamo incontrato una regista brasiliana. Dall’incontro è nata un’amicizia e la promessa di realizzare insieme un film. Nel 2006 abbiamo cominciato le ricerche per un film sul carcere. Prodotto dalla Rio Verde Produçoes. Lo spunto inziale era dato da un frammento: “Pensate a due detenuti nello stesso carcere, pensate alle due celle così distanti”. L’obiettivo era raccontare la storia di due amanti detenuti nello stesso carcere e i loro stratagemmi per vincere le barriere, l’isolamento e mantenere vivo l’amore. Per realizzare la fiction di un argomento così delicato dovevamo prima fare molte ricerche; nessuno di noi conosceva il mondo carcerario. I primi contatti sono stati con una donna e un uomo torturati e poi reclusi nelle carceri della dittatura brasiliana. Nell’agosto del 2006 le ricerche si concentravano su un’isola , a poche ore di viaggio da Rio de Janeiro, Ilha Grande, dove rimane la facciata di un antico presidio, attivo ai tempi della dittatura. Il sopralluogo era guidato da un vecchio, il custode dell’acqua potabile del villaggio sorto intorno alle rovine del presidio. Il carcere non esisteva più ma alcune famiglie di ex detenuti ed ex agenti di quel carcere erano rimasti a vivere insieme sull’isola. Le storie che incontravamo erano tanto coinvolgenti che cominciavamo a pensare di realizzare anche un documentario. Nel settembre 2006 presentavamo il progetto a Giorgio De Vincenti, direttore del Dipartimento Comunicazione e Spettacolo dell’Università Roma Tre. Il film si chiamava “Estratagemas do amor” ma avrebbe avuto anche un capitolo “italiano”. Il Dipartimento Comunicazione e Spettacolo sposò il progetto che partì subito dopo con interviste a detenuti politici. Qualche mese dopo, la collaborazione con la Rio Verde Produçoes si complicava. Le difficoltà legate ai pochi mezzi economici a disposizione imponevano di separare il progetto. In Italia il progetto prendeva una nuova strada e sceglievamo di concentrarci su un unico carcere: Rebibbia. Nel contempo il progetto si limitava al solo documentario. “Stratagemmi d’amore” sarebbe diventato un film sull’amore in cui il carcere rappresenta il luogo dove si fanno visibili le barriere che rendono impossibile ogni relazione d’amore e necessari gli stratagemmi per superarle. Nel gennaio 2007 cominciavano i primi sopralluoghi in carcere, gli incontri e le interviste con i detenuti e le detenute. Scoprivamo quanto quelle vite ristrette assomigliassero alle nostre. Così il carcere passava definitivamente in secondo piano e in primo piano, fatalmente, c’era l’amore o, meglio, il bisogno d’amore. Inoltre decidevamo di abbandonare le storie di detenute e detenuti politici (che riprenderemo se potremo in nuovo progetto) per concentrarci sulle storie di detenuti comuni, più ordinarie ma per questo, forse, più vicine alla nostra quotidianità.
Il progetto avrebbe dovuto comprendere quattro storie, ma è stato possibile realizzarne solo tre. Un’ultima “modalità”, la quarta storia, utile a raccontare meglio il rapporto tra dentro e fuori: la semilibertà, non abbiamo potuto girarla. Nelle ricerche, che dovevano individuare un detenuto “semilibero” e la sua compagna, abbiamo incontrato le più grandi resistenze, soprattutto da parte delle compagne dei detenuti. Resistenze legate alla paura di scoprire l’identità dei loro compagni. Paura di perdere il lavoro, di compromettere i rapporti con le famiglie, con i vicini di casa, con gli amici dei figli. Paure che restringono ulteriormente le vite. Le nostre paure di “liberi”. Nel giugno del 2008, data l’impossibilità di raccontare la condizione di semilibertà, le riprese erano finite, ma questo ”fallimento” in realtà ci ha rivelato molte cose. Durante il montaggio del film ci siamo resi conto quanto fossero assenti gli “stratagemmi d’amore”. Occorreva trovare un nuovo nome al film, che però nascesse dalla sua stessa storia. Lo abbiamo chiamato “L’ora d’amore”, quel tempo ristretto di un incontro in cui si ha la sensazione di non poter dire, di non poter dare, tutto quello che in noi trabocca. Ci siamo accorti di come fosse cambiato nel corso dei due anni il nostro modo di raccontare quelle storie ristrette. All’inizio avevamo bisogno di interviste per scrivere una sceneggiatura, un po’ alla volta abbiamo cominciato a staccarci da quell’obiettivo iniziale. E’ cominciato così il nostro viaggio nell’impossibilità dell’amore, attraverso le barriere, le attese infinite, le ossessioni, le paure... Lo sguardo è cambiato nel tempo. Nel film questi cambiamenti sono visibili, stratificati, così come cambia la scrittura in un lungo diario di viaggio. Alla fine, anziché scoprire gli stratagemmi, abbiamo trovato un grande bisogno d’amore e non sapere più come fare ad amare. Del linguaggio d’amore siamo diventati balbuzienti, ristretti tutti dentro la paura, il conformismo. Abbiamo fallito nella ricerca iniziale ma questo fallimento ci ha reso tutto più chiaro.

Andrea Appetito e Christian Carmosino