Festival del Cinema Città di Spello e dei Borghi Umbri
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Il dramma "sconosciuto" di Ida Dalser, donna
del Duce, in "Vincere" di Marco Bellocchio


Superata la sua già vista e un po’ piatta evoluzione narrativa, sopportate certe imprecisioni nella messa in scena, il film di Marco Bellocchio rimane un’opera apprezzabile per la sua capacità di coerenza e per le sue nobili intenzioni rese con oggettività.


Il dramma
Con il suo “Vincere”, unico lungometraggio italiano in concorso a Cannes, Marco Bellocchio confeziona un film inchiesta - denuncia che ricostruisce in parte la vita di uno dei più importanti uomini della storia politica italiana, dal punto di vista di un evento che non solo non fu reso noto ma fu osteggiato al punto di essere cancellato non solo dalla storia ma quasi dalla memoria. Il nuovo lavoro del noto regista che ha esordito con “I Pugni in Tasca” rimane quindi innanzitutto un’opera importante in quanto volta al recupero della verità.

Non avevo mai sentito parlare della storia di Ida Dalser”, ha precisato Marco Bellocchio, “l’ho scoperta da un documentario visto in tv qualche tempo fa e il personaggio di questa donna mi è sembrato straordinario perché talmente coerente e ferma da essere capace di rifiutare in modo assoluto qualsiasi compromesso per continuare a gridare sino alla fine una scomoda verità come la sua. Così mi è interessato raccontare la vicenda di questa persona al punto che non mi è importato marcare e denunciare le nefandezze del regime fascista. Ida Dalser mi ricorda certe eroine tragiche come Antigone o del nostro melodramma come Aida. Così il film è appunto anche un melodramma che racconta l’invincibilità di una piccola donna italiana che non verrà mai piegata da nessun potere; in questo senso è lei appunto a vincere. Ho usato molte immagini di repertorio senz’altro per una scelta stilistica ma anche per ragioni produttive dal momento che non potevamo ricostruire tutto. Bisognava fondere il materiale documentaristico con le nuove immagini e farne uno stile, rendere credibile e funzionale il fatto che, ad un certo momento del film, l’attore che interpreta Mussolini scompare e del personaggio del duce rimangono solo le vere immagini di repertorio che l’Istituto Luce ci ha gentilmente fornito”.

Per quanto onesto e riuscito a livello generale il film di Marco Bellocchio non manca di mostrare i suoi limiti. Il primo di questi è la piattezza e la ridondanza narrativa di una sceneggiatura che si affida spesso alla recitazione degli attori per tenere viva l’attenzione. La mano del regista piacentino si nota infatti, oltre che nell’utilizzo della musica che sottolinea e marca le situazioni, nella direzione degli interpreti spesso portati volutamente sopra le righe per le urla che deformano loro il viso. Sarebbe stato probabilmente più interessante, a dispetto di incappare in certe formalità già proposte, andare ancora più a fondo nella vita del personaggio della Dalser approfondendo maggiormente la sua psicologia, lavoro nel quale Marco Bellocchio non ha mancato di farsi perlomeno intuire portato e capace. La scelta di non mostrare più il Mussolini di Filippo Timi nella seconda parte del film poi, per quanto funzionale stilisticamente e coerente nelle intenzioni, appare programmatica e poco bilanciata nei confronti dell’equilibrio del lungometraggio. E’ poco credibile poi che, mentre il personaggio interpretato da Filippo Timi perde tutti i capelli come ovviamente è capitato al duce, l’Ida Dalser di Giovanna Mezzogiorno non invecchi per niente con il trascorrere degli anni.
In più, gli intenti di denuncia che, a seguire le dichiarazioni del regista, non sono risultati di suo interesse, rimangono piuttosto evidenti specie sul finale (vedi le ultime immagini di repertorio relative alle bombe sulla città) e comunque già dal titolo del lungometraggio, "Vincere" appunto, e ancora di più quindi dalla considerazione dei fatti stessi della storia appunto successivi a quelli narrati nel film.

Certo l’unico lungometraggio italiano in concorso a Cannes rimane un’opera cinematografica più che apprezzabile per la coerenza generale dell’operazione. Il lavoro di Marco Bellocchio infatti, superata la sua già vista evoluzione narrativa (Ida Dalser ricorda ad esempio il personaggio della Monaca di Monza già interpretato per la televisione proprio dalla Mezzogiorno), non manca di rimanere impresso non solo per la direzione degli attori (sempre straordinaria Giovanna Mezzogiorno e senza dubbio da sottolineare Filippo Timi) ma soprattutto per la sua indubbia capacità visiva e quindi di messa in scena, per le tematiche care a Marco Bellocchio qui portate sul grande schermo con un approccio più oggettivo e quindi diverso rispetto a quello più “mentale” perseguito con i suoi ultimi film.

19/05/2009, 17:34

Giovanni Galletta