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"Piede di Dio": un film sul calcio ritratto del nostro paese


Il calcio come "metafora di un sistema di vita" nell'opera prima di Luigi Sardiello in sala dal 28 agosto 2009 distribuito in 25 copie da Acab e Bunker Lab.


Elìa non ha paura di sbagliare un calcio di rigore perché sa che un giocatore come lui si giudica dal coraggio e dalla fantasia. Citare De Gregori è fin troppo facile per aprire il discorso su "Piede di Dio" opera prima di Luigi Sardiello presentata a Roma e in procinto di uscire nelle sale italiane.

Il film è una favola ambientata per metà a Roma e per metà in un deserto paese di Puglia, dove vive Elìa (Filippo Pucillo) fenomeno del calcio da piazzetta e da spiaggia che l'affamato talent scout Michele Corallo (Emilio Solfrizzi) riesce a sottrarre alla madre per lanciarlo nel mondo del calcio che conta. E fin qui tutto nella norma; quello che non è "normale" è proprio Elìa, il piede di dio, che a 18 anni ne dimostra intellettivamente 12, età in cui il padre lo abbandonò insieme alla mamma (Rosaria Russo). Un ritardo che sembra pregiudicare la possibile carriera professionistica del ragazzo, limitando la sua visione del calcio alla partitella in costume e ai rigori tirati tutti perfettamente uguali sotto l'incrocio dei pali. Ma l'impegno di Corallo, spinto anche da esigenze economiche improrogabili, riesce a portare il ragazzo ad un provino per una squadra di serie A. In campo dopo una serie di magie alla Cassano, Elìa si trova di fronte per la prima volta ad un avversario "cattivo" o forse solo già con un piede nel professionismo; a quel punto, di fronte alle minacce del calcio vero, il fenomeno si blocca, stacca la spina e chiude la prova trovandosi a battere un calcio di rigore, la sua specialità. Dall'esito del rigore dipende il suo futuro e quello di Corallo, che ormai il ragazzo vede come sostituto del padre. Ma Elia non ha coscienza del futuro; per lui esiste solo il vissuto e quel breve scontro con l'avversario minaccioso lo convince a voler tornare sulla tranquilla spiaggia di casa.

Un film sul calcio che, secondo il regista, vuol essere un ritratto del nostro paese dove il calcio è metafora di un sistema di vita, molto simile ma meno graffiante di "Balondòr", episodio di "4-4-2" (Francesco Laghi, 2006), con un disastrato Gigio Alberti che contrabbandava giovani talenti africani nel bagagliaio della sua vecchia Citroen. Molte le citazioni da vero cinefilo qual è l'autore Luigi Sardiello, il quale paga forse il prezzo di aver scritto da solo la sceneggiatura, utilizzando soluzioni che rendono gradevole il film senza essere esempi di originalità. Un merito comunque quello di non aver fatto un'opera prima autobiografica all'italiana. Buoni i dialoghi mai scontati e spesso divertenti con battute e doppi sensi da commedia di qualità.

Pugliese d.o.c. (come da esigenze di Film Commission) il protagonista Emilio Solfrizzi, bravo nell'indossare un unico gessato nero che lo accompagna in tutto il film; elegante e spietato nella fase ascendente del film, stile vagabondo dopo la disfatta finale. Abito brutto, ispirato ad una city londinese che molti poveri cristi indossano credendo sia sufficiente per diventare manager e di cui egli si libera per saldare il suo assillante debito. Vestito senza il quale ritrova se stesso nell'ultima scena. Interessanti Filippo Pucillo, preciso nei panni dello strano e talentuoso Elìa e la mamma Rosaria Russo, ancora ferita per l'abbandono vissuto ma forse pronta, nello sguardo intenso, per una nuova vita. Nel cast anche Luis Molteni e Antonio Catania in una breve ma notevole apparizione. In sala, distribuito in 25 copie da Acab e Bunker Lab, da venerdì 28 agosto al centro nord e dai primi di settembre al sud.

26/08/2009, 18:11