Note di regia del film "L'Uomo Giusto"
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Fare il cinema come si fa il pane”.
E’ una frase di Roberto Rossellini che mi ha motivato nel periodo in cui è maturata ed è arrivata a prendere forma l’idea di questo lavoro.
La storia di questo film è cominciata alla fine del 2005. Avevo appena finito il Centro Sperimentale e avuto la possibilità di lavorare come assistente per Michele Placido. Non era certo in conto che il mio esordio nel lungometraggio arrivasse in un tempo tanto breve: avevo infatti previsto di farmi una buona gavetta, di capire un po’ meglio quali dinamiche animassero la vita del set cinematografico, standomene un po’ al margine, osservando dal basso, in un modo certamente consono al mio carattere schivo e tendente alla malinconia.
Invece la vita ci si è messa d’impegno e ha deciso di giocarmi un colpo basso: Michele aveva visto il mio saggio di diploma e ne era rimasto positivamente colpito. Da lì a pensare di produrre un’opera prima il passo è stato breve.
Abbiamo scritto la sceneggiatura – con Andrea Leanza e la collaborazione dello stesso Placido – in poco più di due mesi e poco dopo eravamo al lavoro per la pre-produzione. Tutto rientrava negli intenti iniziali: poco tempo, pochi soldi, entusiasmo alle stelle.
Da tempo, con il mio fidato sceneggiatore avevamo in mente di realizzare una sceneggiatura partendo da un fatto di cronaca che ci aveva molto colpito: la vicenda di un gioielliere romano, cinquantenne, che si era perdutamente innamorato di una ragazza rumena al punto di mettere in discussione le sue certezze, la famiglia, il lavoro. Aveva deciso, nel pieno della propria maturità, di riprogrammare la propria vita, ma non aveva previsto il risvolto tragico che il destino gli aveva preparato. La ragazza, infatti, non era senza un fine che aveva deciso di ricambiare la passione dell’uomo. Così, al momento giusto, aveva fatto arrivare dalla Romania il fidanzato, facendo credere al suo amante che si trattasse del fratello. L’uomo, perdutamente innamorato, aveva rimosso ogni dubbio e permesso l’avvio di una strana convivenza a tre. Da lì al dramma il passo era stato breve. Fattisi trovare in atteggiamenti inequivocabili i due fidanzati avevano ucciso brutalmente il gioielliere.
Questo, dunque, il punto di partenza. Cercammo, in un primo momento di restituire fedelmente gli estremi della storia, ma ci fermammo quasi subito.
Volevamo raccontare l’esplosione devastante di una passione, ma la vicenda spostava inevitabilmente il suo asse verso una caratterizzazione sociologica dei personaggi. Inoltre dovevamo fare i conti con i mezzi a disposizione e sarebbe stato più prudente smussare gli estremi della storia fin dalla fase di scrittura, per non correre il rischio di doverli “semplificare” o sprecare durante le riprese per “inadeguatezza tecnica”.
Non ne venimmo a capo finchè non ci venne l’idea di cambiare l’età del protagonista maschile facendone un’anziano che ormai ha rinunciato ad avere una prospettiva vitale. Un uomo a suo modo sereno, ma molto solo. Fatta questa scelta fu naturale aumentare a dismisura l’importanza che i sentimenti avevano nella vita del personaggio e, quindi, nel naturale evolversi della storia.
Finimmo la sceneggiatura. La chiave per comprendere in che modo impostare il mio lavoro di regia mi fu suggerita da Michele, nel suo solito modo sornione e apparentemente superficiale di consigliare i suoi compagni di lavoro: mi proponeva di ripensare alla storia di Umberto D, in una chiave moderna e attuale: se nel ’52 il problema degli anziani era di tipo “alimentare”, e riguardava principalmente il sopravvivere, oggi la problematica primaria dei “vecchi” è di tipo esistenziale, ed è la solitudine il rimosso della nostra società nei loro confronti.
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L’Uomo Giusto” è, appunto, la storia di un uomo solo, che per un momento si illude di poter percorrere l’ultimo tratto della propria vita insieme ad una compagna. Non bada a niente, alla differenza di età, alle differenze sociali – lei è russa, appunto – e si abbandona ai sentimenti oltre che a questa speranza. Lascia venir meno il luogo comune della saggezza, che solitamente si attribuisce ai vecchi, e si abbandona alla vita, al destino. Proprio questo abbandonarsi gli sarà fatale…
Nessuna intenzione sociologica, dicevo: non ho mostrato alcun interesse verso il rapporto tra questi personaggi e la realtà che li circonda. Mi interessava il progredire del loro rapporto, e il divenire dell’illusione, che uno subisce e l’altra alimenta. Il mondo è il riflesso dei personaggi che ci vivono.
Ho cercato per questo di avere uno sguardo il meno compromissorio possibile e mi sono imposto di non esprimere giudizi nei loro confronti.
In questo mi sono venute in aiuto le interpretazioni dei due attori protagonisti, Gigi Angelillo e Katarzyna Liwska – polacca, straordinaria e rigorosissima, alla prima esperienza cinematografica, come tutti quanti gli altri che hanno fatto questo film del resto – che hanno dato una sofferta e dignitosissima discrezione ai propri personaggi, oltre che l’uso dell’HD, che mi ha permesso di entrare nelle pieghe dell’animo dei protagonisti senza invadere mai la loro esistenza attraverso il mezzo tecnico.
Un film fatto con la stessa semplicità e la stessa sapienza che servono a fare il pane. Questo sapevo di voler fare e questo ho fatto.
Toni Trupia