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"Sopra le Nuvole": l'importante è non dimenticare


L'importante è non dimenticare. "Sopra le Nuvole", il film di Riccardo Stefani e Sabrina Guigli, ha aperto il Saturno Film Festival di Alatri in questa edizione dedicata alla storia. E proprio della nostra storia parla il film, di uno dei tanti, terribili episodi di violenza contro i civili avvenuti in tutto il paese dopo l'8 settembre del 1943, ad opera delle truppe nazi-fasciste. Il 18 marzo del 1944 vennero trucidati, a Monchio, Costrignano, Susano e Savoniero, 131 civili tra cui donne e bambini. Due giorni dopo, per mano della stessa compagnia tedesca della divisione Hermann Goering, subirono la stessa sorte a Cervarolo, 24 uomini compreso il parroco: lasciare vivi nella memoria questi episodi è la vera funzione del film. Ma a questo punto ci si chiede perché non raccontare il tutto attraverso un documentario? Perché costringersi a scrivere dialoghi eccessivamente esplicativi della situazione da apparire inverosimili? Perché dover ricorrere alle didascalie per ambientare e spiegare gli eventi? Perché mostrare mille storie e nessuna, tanti personaggi di poco spessore, tante situazioni senza sviluppo, al solo fine di raccontarci una realtà normale, piccola e serena, alle prese con una guerra prima lontana poi vicina e feroce? Certo, ognuno sceglie il proprio mezzo per comunicare e la scelta va rispettata.

Ma il cinema dovrebbe essere e dare altro, coinvolgendo con una sceneggiatura che va oltre il racconto dei fatti. Serve una storia che ci porta fino all'evento; servono dialoghi che ci lascino scoprire a poco a poco personaggi ed eventi; servono attori professionisti che riescano a recitare commedia e tragedia.
La storia, le parole usate più per spiegare che per dialogare, gli attori presi dal vivo, sarebbero perfetti per un bel documentario, ma non bastano per un film. E "Sopra le Nuvole" non è neanche un film poverissimo; la fotografia curata, tanti movimenti di macchina (qualche dolly superfluo), scene di massa, costumi, armi, auto d'epoca; insomma un discreto sforzo produttivo ma troppo dedicato al video.

Quante chiacchiere, poca legna” dice una dei personaggi femminili all'inizio; e in un film molto parlato, i dialoghi credibili sono fondamentali. Troppa gente che si chiama in ogni occasione per nome (il prete per cognome) fino ad arrivare ad un: “Amilcare, Giuseppe!” “Franco...” prima che quest'ultimo uccida i suoi due amici e salvatori, i fratelli Amilcare e Giuseppe appunto, sorvolando su tutto il possibile stupore e rammarico delle vittime che lo avevano aiutato e nascosto dopo l'8 settembre e sullo stato d'animo (questo a discrezione dell'autore) dell'ingrato assassino tornato al servizio dei nazi-fascisti.
L'esigenza di raccontare una storia come questa c'è ed è meritevole averlo fatto, un buon primo passo per gli autori che si spera in futuro diano maggior considerazione a sceneggiatura, dialoghi e recitazione e non solo a luci e movimenti di macchina.

24/11/2009, 09:00

Stefano Amadio