Note di regia el film "Alta Infedeltà"
La sceneggiatura è l’adattamento di un omonimo testo teatrale originale, messo in scena nella stagione 2005 presso il Teatro Vittoria di Roma. La trasposizione cinematografica differisce dal testo teatrale oltre che, naturalmente, per il diverso linguaggio richiesto dal differente mezzo, per la diversa ambientazione in cui è contestualizzata la vicenda: la pièce, infatti, raccontava le vicende di una famiglia inglese, soffermandosi sulle peculiarità e sulle declinazioni che caratterizzavano il diverso approccio territoriale e sociale; nella versione cinematografica, invece, la storia si svolge in un ambiente più moderno e vicino alle cognizioni comuni e, quindi, più facilmente assimilabile.
Il racconto, caratterizzato da un’assoluta leggerezza di base sia nel linguaggio che nelle intenzioni, si sviluppa attraverso una prima presentazione dei personaggi e una seguente continua evoluzione dei rapporti che intercorrono fra di loro. L’aspetto comico e grottesco della vicenda, infatti, risiede nel costante adattamento d’identità, elemento indispensabile in un valzer degli equivoci di tale portata, a cui i personaggi, volenti o nolenti, sono costretti ad adeguarsi.
L’intenzione autoriale dell’intero progetto è mossa e determinata da un’esigenza, spesso chiamata speranza, di riportare in auge un genere negli ultimi anni troppo spesso dimenticato e bistrattato come quello della farsa. Infatti il tono farsesco è stato ben espresso nel passato: le lezioni dei grandi maestri della commedia hanno influito nel nostro sviluppo professionale fino al punto di caratterizzare buona parte del bagaglio artistico della nostra generazione. Ma tutto questo sembra aver lasciato il posto a un cinema che spesso preserva poco spazio alla leggerezza, una leggerezza che, come il cinema americano ci insegna, risiede soltanto nella scelta contenutistica e non in quella stilistica. È possibile pensare a un cinema d’autore indipendentemente dalla scelta dei temi trattati, siano essi di carattere sociale o meno. Il cinema alimenta se stesso, ed è per questo che i generi vanno alimentati, specie quelli che più ci hanno rappresentato in passato, nella speranza che non scompaiano in futuro.
Claudio Insegno