Note di regia del film "L'Appello"
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L'Appello" parte da esperienze vissute nella mia attività lavorativa di medico in prima linea. In modo particolare mi hanno sempre colpito i problemi di tossicodipendenze, di stragi del sabato sera, di soprusi sui minori. Non bisogna scendere nel quotidiano, nelle storie banali e manicheistiche ( dualismo forzato tra bene e male), ma, secondo la mia esperienza cinematografica, ho imparato che per fare arrivare un messaggio serio allo spettatore, i personaggi vanno scoperti a poco a poco con dei primi piani, con dei piani sequenza ben studiati e calibrati, con delle musiche ad effetto, quasi un far desiderare allo spettatore di scoprire a poco a poco un problema attraverso un'introspezione dei personaggi molto accurata.
Quotidianamente i media elencano nei propri palinsesti cronache di episodi inerenti al bullismo in età adolescenziale (ma anche pre-adolescenziale) e si parla di una vera e propria emergenza sociale.
In Italia non siamo ancora arrivati a fenomeni di vera e propria delinquenza (omicidi, rapine, ecc.), pari ad altre realtà soprattutto anglosassoni e scandinave, ma siamo ancora a livelli di “bravate”, di soprusi, di piccole bande occasionali e di violenza gratuita.
Si evince quindi come il problema stia diventando anche dalle nostre parti sempre più attuale e di vaste dimensioni e va arginato, al fine di non sfociare in situazioni molto più degradate come in altre realtà europee e di oltreoceano.
Con la realizzazione del lungometraggio si tende a voler evidenziare le difficoltà dei giovani stessi, delle famiglie, della scuola, della forza pubblica e dei vari operatori che possono essere coinvolti nelle vicende di bullismo in età adolescenziale.
La troupe diretta da me e Federico Rozas (giovane regista argentino) si è avvalsa di tecniche cinematografiche ad alta definizione. Tutto il film è stato girato tra Padova e Provincia.
Il collegamento tra le varie sequenze del film negli 83 minuti si affida a un montaggio diacronico, apparentemente disordinato rispetto al classico procedere, ma che fa lavorare lo spettatore in modo che si mantenga aperta l'opera, come è aperto il problema dei giovani di oggi, non più disposti a sopportare "angherie" e frustrazioni che invece ti insegnano a vivere. Qui la famiglia gioca un ruolo importantissimo. Non ci sono più i padri - padroni di una volta, ma oggi c’è più permissività verso i giovani. Ciò è positivo da un lato, ma potrebbe essere molto pericoloso. La troppa permissività deve trasformarsi in un dialogo costruttivo, che riesca ad accendere lumi di interesse e di speranza nei nostri giovani. La scuola e le istituzioni dovrebbero fare la loro parte, ma hanno le mani legate: le punizioni severe in caso di gravi gesti sconsiderati potrebbero essere fonte di infinite polemiche e potrebbero ritorcersi negativamente sugli educatori stessi.
Il film vuol far presente che il problema esiste ed è molto sentito; non si danno soluzioni, ma si vuole lasciare il dubbio e lo sconcerto nello spettatore. Soggetto, sceneggiatura, taglio delle riprese, condizioni di luce, casting e direzione degli attori vogliono veicolare in maniera consona i messaggi da mandare.
Emilio Briguglio e
Federico Rozas