Note di regia del documentario "Affari d’Acqua
- Cronache dall’Idroscalo di Ostia"
Nel raccontare l'Idroscalo di Ostia abbiamo dovuto confrontarci con l'irriducibilità di una realtà composita e sfaccettata nello spazio limitato di 54 minuti. Fatti i conti con questo limite abbiamo assunto la parzialità e la discrezionalità come elemento costituente del nostro lavoro, provando quindi a costruire la "nostra" storia dell'Idroscalo.
Dal punto di vista delle scelte di regia, abbiamo provato a conciliare il più possibile l'esigenza di raccontare con quella di ridurre al minimo l'invasività della videocamera, utilizzando elementi simbolici ed evocativi per dire quanto si nasconde dietro volti e pareti e cercando di limitare il più possibile l'intrusione nella vita, e in certi casi nella sofferenza, dei "personaggi" che animano il documentario.
Lontani da qualsiasi estetica del degrado, abbiamo semplicemente scoperto e provato a mostrare la bellezza che si nasconde tra le pieghe dell'apparenza. Senza con questo voler nascondere lo squallore che sempre tra le pieghe dell'apparenza si cela.
Sebbene siamo stati fin da subito affascinati dalla parabola del luogo, un tempo punto d'eccellenza dove approdavano sovrani e capi di stato, poi baraccopoli e simbolo di emarginazione, il lavoro che abbiamo sviluppato è stato ovviamente influenzato dal fatto che il nostro incontro con l'Idroscalo si sia verificato in un momento particolare, nel quale la stessa esistenza dell'insediamento è messa in discussione da speculatori e amministratori locali.
Ci sarebbe piaciuto raccontare la storia di un "popolo" compatto che si oppone al potere prevaritore per far salvi i propri diritti e interessi. Purtroppo abbiamo dovuto progressivamente discostarci da quest'idea romantica e pasoliniana (ironicamente proprio all'Idroscalo è stato assassinato il poeta), per riconciliarci con la realtà che andavamo attraversando. Perchè la storia dell'Idroscalo, almeno quella recente, è fatta anche di divisioni, colpi bassi e piccole guerre tra poveri, in cui emergono in maniera lucida e struggente, dove mai avresti pensato di trovarle, le differenze e le stratificazioni di classe.
D'altra parte non è stato possibile evitare un confronto con le realtà, istituzionali, produttive e sociali, che circondano l'Idroscalo e determinano l'immagine che se ne da all'esterno e in buona misura le sue stesse sorti. Gli elementi che più si sono imposti alla nostra attenzione sono il modo, autoritario e paternalistico allo stesso tempo, in cui vengono gestiti i conflitti, economici prima ancora che politici e sociali, e l'idea di sviluppo e riqualificazione del territorio che istruisce l'azione degli amministratori locali, azione sempre più appiattita (e in questo la realtà si è discostata di poco dai presupposti che senz'altro hanno influenzato le nostre ricerche) sugli interessi di grossi gruppi e consorterie politiche.
Senza alcuna pretesa di generalizzare quella che è una nostra lettura di una situazione particolare, crediamo che la vicenda dell'Idroscalo abbia qualcosa da insegnare a quanti guardano ai territori come ad antidoti contro i mali della globalizzazione, dove i territori, lo abbiamo imparato a nostre spese, sono ben più ricchi di elementi traslucidi ed ambivalenti di quanto non siamo disposti a immaginare ed accettare.
Dopo due anni di lavoro intenso e partecipato, il primo risultato che crediamo di aver ottenuto, risultato sofferto e per niente scontato, è una straordinaria crescita, personale e collettiva, che ci ha portato a relazionarci alle cose in maniera laica e il più possibile spoglia da fardelli ideologici.
Resta intatto ed anzi rafforzato il nostro amore per questo angolo di mondo e per le persone che lo abitano. Solo, e non è certo poco, questo amore si è arricchito di senso, la cartolina è stata restituita al rango di cosa viva e dinamica, che sfugge alle descrizioni stereotipate e che per questo continua, inevitabilmente, ad emozionarci.
Ciro Colonna,
Valerio Serafini e
Kistiñe Cárcamo Aboitiz