Note di regia del film "Cielo Senza Terra"
Questo film è ambientato sulla montagna che vedo ogni giorno dalla mia finestra: una tela (bianca d’inverno e verde d’estate) sulla quale tracciare un segno.
Poco prima di iniziare le riprese mi è capitato di desiderare il ritorno in città, come non mi accadeva da alcuni anni.
Mi sono detto: “ Il film non sarà quello che avevo immaginato”. Forse dovrebbe essere sempre così.
Proprio questo cambiamento dentro di me ha messo in moto tutto. Ho coinvolto una persona ritrovata da poco, la film-maker Sara Pozzoli. E il film lo si è “sognato” insieme. E poi, durante le riprese, abbiamo lasciato che invadessero il film altre storie, fino a quel momento sconosciute. Che entrassero, come in una casa in costruzione senza porte né finestre, la voce del produttore musicale Gianni Grandis, la musica “progressive” degli anni settanta, la lotta degli operai della Innse di Milano.
Forse per avere, grazie a tutti questi intrusi, la certezza che la casa non sarebbe stata finita mai. Non avrebbe mai avuto né porte né finestre. Come la nostra vita all’aperto sulla montagna. Come l’immaginazione di un bambino di 8 anni.
Il vero viaggio è stato il movimento continuo che è durato per tutte le fasi di lavorazione. So che potremmo anche domani girare nuovo materiale e il film lo accoglierebbe. Potremmo rimettere mano al montaggio e il film, scosso da un brivido di piacere o di solletico, si scombinerebbe tutto senza distruggersi.
Ci è capitato di pensare (a me e Sara) che fosse in qualche modo un “western”. Un “prog-western”, direi oggi. Progressivo nel suo accumulare nuovi materiali che si confrontano con quelli già presenti.
Penso a quei western dove qualcuno insegue qualcun altro per le grandi praterie, cercando le impronte degli zoccoli dei cavalli nella polvere, studiando le tracce di un bivacco, scrutando dall’alto di una rupe un sentiero invisibile…
Non so chi inseguissimo. E nemmeno se fossimo noi gli inseguitori o piuttosto i fuggitivi.
So che la nostra imperizia comportava il rischio di girare in tondo, di pedinare se stessi, di tentare di acciuffare la propria ombra.
Dovrebbe essere sempre così?
Giovanni Maderna
Da anni desideravo realizzare un film sulla relazione adulto- bambino. Ricercare le differenze, le assonanze, i rimandi, i segni.
Quando Giovanni Maderna, incontrato al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma e perduto di vista per anni, mi ha parlato dell’idea di girare un film su di lui e suo figlio Eugenio, mi sono subito incuriosita e appassionata al progetto.
A volte strade diverse s’incontrano su terreni comuni.
Il film lo abbiamo pensato e parlato a lungo, poi, una volta saliti sulla montagna lo abbiamo vissuto, camminato e respirato.
Come un gioco, anche faticoso, ma sempre e comunque coinvolgente.
Per quanto mi riguarda mi sono trovata ad essere “camera” partecipante ed al contempo il più possibile discreta davanti all’intimità di una relazione così forte come può essere quella tra un padre ed il proprio figlio.
L’importante, credo, sia rimanere sempre in ascolto, aperti al fluire delle cose, pronti a farsi stupire.
Questa penso sia stata una caratteristica del nostro progetto sin dall’inizio.
Grazie anche alla presenza di Eugenio.
Eugenio che ci sorprende con i suoi discorsi, che non vuole camminare o che cammina più veloce di noi.
Eugenio che ci fa pensare ai bambini che eravamo.
A quel che abbiamo perso e a quel che abbiamo trovato.
Altre frequenze, lontane eppure vicine, si sono poi intrecciate al nostro camminare. Gli operai della INNSE che nella città occupano la loro fabbrica, la voce appassionante di un produttore musicale.
Basta poco, a volte, per oltrepassare il velo, per trovare connessioni sottili.
Il cielo è qui, in attesa di ritrovare la terra.
Sara Pozzoli