Note di regia del film "Vallanzasca - Gli Angeli del Male"
“
Quando Dio ti concede un dono, ti consegna anche una frusta; e questa frusta è predisposta unicamente per l'autoflagellazione”.
Truman Capote
Ho accolto con entusiasmo l’offerta di dirigere un film su Vallanzasca pur sapendo che il progetto sarebbe senz’altro stato oggetto di grande clamore mediatico. Ma è un rischio che si corre quando si decide di raccontare una storia i cui protagonisti sono ancora in vita e soprattutto quando, pur con tutto il rispetto possibile, si sfiorano delle ferite ancora aperte, che purtroppo non saranno mai sanabili.
Non è stata un’impresa facile – tanto è vero che ci sono state 4 revisioni di sceneggiatura - ma io avevo in mente un’idea precisa che ha preso forma quando ho cominciato a pensare a Kim Rossi Stuart nel ruolo del protagonista. Non mi interessava il libro di Vallanzasca e non mi interessava entrare nel merito della vicenda. Quello che trovavo stimolante da un punto di vista artistico e creativo era entrare nella mente di un criminale per capire, con un approccio asettico e quasi entomologico lontano da qualsiasi giudizio morale, cosa si prova a stare in bilico fra la normalità e la devianza, a trovarsi al bivio fra il bene e il male e a scegliere deliberatamente il male.
L’idea di offrire a Kim Rossi Stuart il ruolo del protagonista è stata decisiva. Lo conoscevo da anni, avevo già lavorato con lui in “Poliziotti”, film di Giulio Base del 1994 in cui lui interpretava un poliziotto ed io ero un delinquente incallito. Ero certo che nei panni di Renato Vallanzasca avrebbe dato il meglio di sé, e in realtà Kim è stato veramente straordinario. E proprio perché volevo che entrasse pienamente nel ruolo, ho desiderato che il suo coinvolgimento nel progetto fosse totale, tanto da chiedergli anche di partecipare alla stesura finale della sceneggiatura - certo che un suo contributo già in fase di scrittura avrebbe dato un valore aggiunto alla narrazione cinematografica. Insomma, ho fortemente voluto che in questo film il protagonista fosse anche un po’ co-regista, un co-regista con cui il rapporto è stato sempre ottimo, al di là di qualche scontro acceso ma inevitabile quando sono in gioco due personalità forti come le nostre. E sono molto soddisfatto di tutto il cast che si è messo al servizio della storia ed ha contribuito a creare il clima di quegli anni e quell’atmosfera “milanesità” necessaria per l’autenticità del racconto. Grazie ad una formula di co-produzione internazionale abbiamo infatti potuto contare su un cast internazionale, con la spagnola Paz Vega, che è un’intensa Antonella, il tedesco Moritz Bleibtreu (noto in Italia per “Soul Kitchen” e “La banda Baader Meinhof”) o la rumena Monica Barladeanu, recente protagonista del discusso “Francesca”.
E poi fra gli italiani ho lavorato con alcuni fra gli attori più rappresentativi nell’attuale panorama cinematografico: Filippo Timi nel ruolo di Enzo, Valeria Solarino è Consuelo, mentre Francesco Scianna è il boss Francis Turatello. Il ruolo di Enzo, il “tossico” della banda Comasina, l’amico d’infanzia di Vallanzasca ma anche il personaggio forse più difficile e controverso, è interpretato da Filippo Timi, un talento puro, che riesce a restituire al suo personaggio quella follia che lo contraddistingue, a farci sentire il demone che lo abita. Non per niente le scene che prediligo sono proprio un paio di sequenze fra Renato ed Enzo girate in carcere, a San Vittore, in una situazione non proprio facile. C’è un dialogo fra i due particolarmente drammatico : è una specie di resa dei conti fra il boss che rivela tutta la sua spietatezza e il “fratellino”, disperato ma irredimibile, con cui era cresciuto. Una discesa negli inferi di due esseri che sono entrambi fatalmente, irrimediabilmente dannati e senza possibilità di redenzione.
Kim e Filippo sono stati così bravi, il loro respiro era così perfetto, che non abbiamo neanche dovuto ripetere il ciak, era “buona la prima”. Una scena che mi ha commosso proprio perché viene fuori l’essenza emotiva dei personaggi, la loro follia, il buio della loro mente. Non è cronaca, qui siamo proprio all’inferno.
E credo che proprio questo viaggio sotterraneo nel disordine mentale e nella dannazione, al di là di ogni censura preventiva, sia la chiave ed il senso di film come questo. La normalità è meno cinematografica della devianza ed io credo che il cinema debba fare anche questo: andare in fondo a storie disperate, scendere negli abissi del male, sporcarsi le mani. Se raccontassimo solo le luci e non le ombre, se ci occupassimo solo di vicende esemplari, forse racconteremmo delle verità parziali e forse non capiremmo mai i periodi bui della nostra storia.
A chi mi chiede che rapporto ho avuto con Vallanzasca, non ho molto da dire. E’ chiaro che provassi un po’ di inquietudine nei suoi confronti, tutti noi nutriamo dei pregiudizi verso chi è stato uno dei criminali più pericolosi del dopoguerra. Ma lui sapeva che io sono un regista che concede poco agli altri e che non avrei fatto sconti.
Mi auguro che il pubblico comprenda il lavoro che abbiamo fatto, che apprezzi la bellezza e la potenza delle immagini, la forza degli attori, la dolorosa intensità della vicenda. Che viva le emozioni che abbiamo vissuto girando il film e lo stupore provato di fronte al perché un ragazzo della porta accanto, intelligente, giovane e bello, abbia scelto di diventare un”bastardo senza gloria”, un “angelo del male”.
Michele Placido in collaborazione con l’Ufficio Stampa