Note di regia del documentario "Crisi di Classe"
Il progetto nasce da un soggetto di Franco Scaglia per tentare di dare un volto alla nuova povertà e indagare le ragioni che hanno portato alla crisi d'identità di un'intera classe sociale, il ceto medio.
Il film, malinconico e on the road, è un viaggio nella profonda America e nella periferia dell'Europa disunita, sulle tracce di quel che resta della Middle Class. A tre anni dallo scoppio della più devastante crisi dopo quella del 1929, che segnò l'inizio della grande depressione, non si può che ritornare in America laddove tutto è iniziato.
Perché, anche nelle situazioni di crisi, gli Stati Uniti rappresentano il Modello al quale le civiltà occidentali ed orientali si rivolgono e affidano le loro speranze di riscatto. Ancora oggi, nel bene e nel male, l'America detta moda e legge, spirito e cultura, ed è capace di anticipare le scene che vivremo in Europa. In attesa di nascenti “Cine”, non possiamo quindi fare a meno di orientarci alla bussola costante che guida le Muse del Vecchio Continente e ispira i trend del mondo intero, non solo in termini economici ma anche e soprattutto culturali.
Uno sguardo dentro la crisi, quindi, sulle orme di Italo Calvino e le sue “Lezioni americane” preparate per Harvard, ad iniziare dalla prima, quella sulla Leggerezza, per perdersi più nella rete metallica dei mondi alla Springsteen che nelle trame complottistiche e lineari dalla polemica facile. Un'America ferita, senza filtri, che si sveglia dal Sogno Americano - "What we deal with the american dream?" diranno due sconsolati reduci della Caterpillar - ma che mai abbandona la dignità e la perseveranza nella ricerca della fede in un futuro migliore, come testimoniano i personaggi nelle tendopoli californiane o alle mense popolari del Village di New York.
Sulla dissolvenza del miracolo economico, rimane in primo piano lo smarrimento sgranato della Middle Class tra disincanto e realtà, illusioni e speranze, ai confini della rottamazione.
Se anche un Premio Nobel - come Myron Scholes nell'intervista finale - si mostra spaesato e svela la sua fragilità interpretativa a cosa possiamo affidarci? È una questione di etica o di economia strutturale? Per contrastare l'azzardo morale denunciato dal Governatore Draghi nelle Considerazioni di Bankitalia basterà una riformetta fiscale o bisognerà ripensare integralmente il modello?
Possiamo affidarci all'ottimismo obamiano della scuola di Chicago di Richard Thaler - dove la crisi è solo un momento educativo - o incamminarci sui ritmi dell'Economia giusta di Edmondo Berselli abituandoci a rallentare e ad essere più poveri? E alla fine, se esiste, quale via d'uscita dobbiamo prendere al termine della lezione americana?
Giovanni Pedone